40 anni di… La messa è finita
Come ricorda l’account X di Cinecittà, sono passati ormai 40 anni dall’uscita nelle sale di La messa è finita, quinto film diretto da Nanni Moretti.
Con La messa è finita (1985), Nanni Moretti firma uno dei suoi film più compatti, più austeri e – paradossalmente – più emotivi. È un’opera che sembra scorrere sottilmente, quasi timida, e poi si pianta nella coscienza dello spettatore con la stessa delicatezza ostinata del suo protagonista: un giovane prete che torna nella parrocchia romana dopo un periodo su un’isola e trova il mondo – e i suoi affetti – leggermente fuori fuoco.
Siamo nel Moretti della maturità precoce, quello già disilluso, già adulto, ma ancora abbastanza impulsivo da trasformare ogni sua perplessità in una scena. Se i film precedenti mettevano al centro dei piccoli grandi nevrotici cittadini, La messa è finita compie un salto insolito: il nevrotico adesso è un sacerdote, figura teoricamente solida, che però traballa come chiunque altro. Ed è proprio questo cortocircuito – Moretti che interpreta un prete senza mai deporre il suo inconfondibile sguardo morettiano – a rendere il film stranamente magnetico.
La messa è finita, la regia di Moretti
Moretti dirige Don Giulio come dirige se stesso: con un rigore che non ammette scorciatoie e una vulnerabilità che filtra da ogni inquadratura. È un personaggio che crede fermamente nell’ordine morale ma che si trova circondato da una società che procede per radicale entropia. Famiglia in crisi, amici perduti, amori irrisolti: tutto sembra ricordargli che la fede – religiosa o laica che sia – non è mai una linea retta, ma un’altalena emotiva che nessuno manovra davvero.
Il film scorre come una serie di micro-fratture: niente esplode, tutto si incrina. E Moretti sembra studiare l’arte dell’inquietudine quotidiana, quel malessere composto che non fa rumore ma logora. La messa, dice il titolo, è finita: ma è finita davvero? O è solo un invito a guardare ciò che succede dopo, quando si spengono le luci e resta la sostanza delle vite imperfette?
Esteticamente, La messa è finita è un film sobrio, quasi ascetico. Non c’è la verve satirica degli anni precedenti, ma una calma apparente che lascia emergere tensioni profonde. L’ironia, poi, c’è eccome, ma è un’ironia mesta, che ride amaramente delle fragilità umane senza mai deriderle. È una comicità di sottrazione: Moretti non alza la voce, anzi la abbassa, e proprio per questo colpisce più forte.
Un assaggio del Moretti politico
In controluce, si intravede già il Moretti politico, quello che usa l’io per parlare del noi; ma qui il discorso è più intimo, quasi spirituale. La messa è finita è un film sulla difficoltà di restare fedeli a un’etica in un mondo che cambia senza chiedere permesso. È una storia di solitudine, sì, ma di una solitudine che cerca ostinatamente il dialogo.
E, alla fine, proprio come una buona omelia laica, il film non pretende di dare risposte: si limita a suggerire che, spesso, il compito più difficile non è credere, ma restare. Restare in ascolto, restare presenti, restare – come Don Giulio – davanti alla complessità della vita senza smettere di interrogarla.
Con La messa è finita, Moretti firma una delle sue opere più sincere: il film in cui si espone di più, pur parlando di un personaggio che, sulla carta, dovrebbe essere l’opposto di lui. Il risultato è un piccolo miracolo narrativo: un film malinconico ma mai cupo, morale ma mai moralista, semplice ma mai semplice davvero.