Bête Noire riflette su AI, potere e manipolazione. Siamo davvero sicuri che la realtà che conosciamo non sia altro che la versione bramata da qualcun altro?
Tra gli episodi più interessanti dell’ultima stagione di Black Mirror, Bête Noire ci immerge in una realtà solo apparentemente distante. In verità, è fin troppo simile alla nostra. Per quanto possa sembrare assurdo, Charlie Brooker firma un racconto che indossa la maschera della distopia, ma parla chiaramente del presente.
Maria lavora in una multinazionale alimentare e ha conquistato tutti con i suoi dolci, in particolare con la celebre “Bête Noire”. Ma l’equilibrio si spezza con l’arrivo di Verity Green, una sua ex compagna di liceo. Da quel momento, la realtà comincia a incrinarsi sotto gli occhi di Maria, eppure nessuno intorno a lei sembra accorgersene.
Un semplice berretto con la scritta Barnie’s Chicken appare in primo piano in una delle prime inquadrature. Ma dopo l’assunzione di Verity, ogni certezza inizia a spezzarsi. I colleghi, compresa lei, correggono Maria: è Bernie’s, non Barnie’s. Da quel momento, le email vengono alterate, le parole sostituite e persino i video di sorveglianza vengono riscritti. Ogni dettaglio si adatta a una versione inedita della realtà, che non coincide più con la natura delle cose e con i ricordi di Maria. La verità perde consistenza, non rispondendo più alla logica, bensì alla volontà di qualcuno.
La forza di Bête Noire sta nel mostrarci quanto sia fragile la nostra idea di verità. Accettiamo con sorprendente facilità ciò che ci viene presentato, purché ben confezionato. Se tutti sostengono che qualcosa è vero, allora deve esserlo per forza, no?
Quest’episodio ci sbatte davanti agli occhi quanto la verità non venga più verificata. Nell’epoca delle fake news, è autentico tutto ciò che si può trovare online, ciò che nessuno mette in dubbio. Dunque, la verità non ha più bisogno di essere vera, basta che appaia tale.
In questo scenario entra in gioco la realtà quantistica: un sistema creato da Verity in cui la verità è fluida, diventando nient’altro che un campo di possibilità. Esistono molteplici versioni degli eventi, e quella che prevale è semplicemente quella desiderata, che di conseguenza viene resa dominante.
Verity, grazie all’intelligenza artificiale che ha progettato, diventa osservatrice e regista onnipotente del presente. Quest’ultimo, quindi, si trasforma in una messa in scena continua di diapositive illusorie.
Il titolo di questo secondo episodio allude a un’ossessione che ci perseguita e consuma, figurata come “bestia nera”. Concretamente è Verity, ma in senso simbolico è ciò che lei rappresenta: un passato che ritorna sempre e una verità che non è mai assoluta.
In un certo senso potremmo anche dire che la verità viene sempre a galla, infatti… Ai tempi del liceo, Maria aveva diffuso una falsa voce su Verity, accusandola di avere una relazione con un professore. Una bugia diventata una verità per tutti, e mai più smentita. Verity scopre che è stata proprio Maria a diffondere la falsa voce che l’ha condannata all’emarginazione. Una rivelazione che innesca la sua vendetta e dà senso all’intero piano di rivalsa e manipolazione.
Ecco allora che Bête Noire mette in discussione l’idea stessa di realtà oggettiva. La verità, ci suggerisce Brooker, è sempre filtrata dalle parole di qualcuno. E anche se passa il tempo, può riemergere come un incubo. E quando chi la racconta si chiama (guarda caso) Verity, non resta che chiederci: ciò che crediamo reale, lo è davvero o è solo la versione di qualcuno che oltre a raccontarla, ha anche il potere di inventarla?
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