Uscito nel 1988, Nuovo Cinema Paradiso, è il film che ha consacrato Giuseppe Tornatore e commosso spettatori di ogni generazione.
La pellicola è un viaggio nella storia di Salvatore, ormai regista affermato che torna nel suo paese natale per il funerale del proiezionista Alfredo, suo grande amico. Il film diventa una riflessione sul tempo, la perdita e l’amore profondo per il cinema. Ma è proprio sul finale che l’opera tocca il punto più alto: un montaggio che non riguarda solo il cinema, ma la vita stessa.
Un uomo guarda un film, da solo in una sala. Non è il suo film ma in realtà lo è più di qualunque altro abbia mai girato. Questo, è l’ultimo dono di Alfredo, il proiezionista che ha insegnato tutto a Salvatore, anche a dimenticare. Dentro la pellicola finale ci sono tutti i baci censurati, le carezze tagliate, i desideri spesso negati da anni di moralismo e conformismo puro. Un montaggio di tutto ciò che non si è potuto vedere e forse, anche di ciò che non si è potuto vivere.
Il tempo in questa scena smette di essere subordinato all’azione e si mostra nella sua forma più pura. Alfredo ha montato un contro-film, un gesto di resistenza contro l’oblio, dove ogni frammento censurato in precedenza, diventa un atto di memoria. Questi baci, frammentati e reiterati, non costruiscono una narrazione, si accumulano e basta. Non hanno bisogno di parole o spiegazioni: sono l’essenza stessa del cinema come linguaggio effettivo del desiderio. Un desiderio esistenziale: essere visti, ascoltati e riconosciuti.
Salvatore, immobile e commosso, è lo specchio di chi guarda se stesso da lontano. In quelle immagini in sequenza, trova tutto quello che ha perso: l’innocenza, la gioventù, la passione, la possibilità di una vita diversa. Salvatore piange, ma non è un pianto nostalgico; al contrario, è il pianto di chi finalmente comprende, che l’immagine può custodire ciò che la vita spesso dimentica.
Questo gesto, fortemente evocativo, racchiude una domanda silenziosa: cosa fa davvero il cinema? Forse, conserva ciò che è stato censurato dalla società, dalla storia o da noi stessi. In quella sala buia, Salvatore non ritrova solo il suo passato, ma l’immagine possibile di un sé alternativo. Forse più vero, o forse mai esistito. Ma finalmente visibile.
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