Trigger warning: avvertire sul futuro dovrebbe comprendere una ferrea consapevolezza del passato, altrimenti le urla del cinema saranno vane.
A proposito di trigger warning: tutto è partito poco dopo il lancio della piattaforma Disney+ che dal 12 novembre 2019 a oggi conta circa 154 milioni di abbonati. Improvvisamente prima della visione di Biancaneve, Mulan o altri problematici classici che, nel corso degli Anni Duemila, hanno subito l’onta del politicamente scorretto, compare l’advertising sulla contestualizzazione culturale del prodotto.
Lungi da me addentrarmi all’interno di una tediosa quanto insidiosa polemica su ciò che è giusto o sbagliato rappresentare. A essere particolarmente affascinante, in questo periodo storico, invece, è la cieca ansia che porta a voler estirpare il male. Meglio ancora, in un tempo in cui è stato fatto e detto di tutto si cerca di tappare i buchi di una vasca per pesci dai vetri incrinati: perde acqua, basterà dello scotch?
Nessuno poteva prevedere o riconoscere le insidie delle rappresentazioni mediali, tantissimi studiosi si sono interrogati nel tempo e di certo oggi non scomoderemo Marshall McLuhan. Ogni prodotto deve essere visto, processato e interiorizzato attraverso il contesto culturale che l’ha prodotto e, in teoria, la semplice scolarizzazione dovrebbe servire a calmare i bollenti spiriti bellicosi rispetto alle visioni problematiche del passato.
Non basterà mai dire “Erano altri tempi” e non ci saranno mai scuse abbastanza profonde per rimediare alle radicate cicatrici che le rappresentazioni mediali del passato hanno causato rispetto al perpetuarsi di discriminazioni e pregiudizi razzisti, omo-transfobici e così via.
Il 22 agosto 2024 la pagina Instagram di WarnerBros Italia rilascia il trailer di Blink Twice, film che segnerà l’esordio alla regia di Zoë Kravitz. Fino a qui nulla di problematico, anzi, il film scatena molta curiosità rispetto alle capacità registiche dell’attrice, ora regista emergente. Se non fosse per un post che anticipa il trailer del film che recita così:
“Trigger Warning. Siamo orgogliosi di condividere finalmente Blink Twice con il pubblico nelle sale di tutto il mondo questa settimana. Blink Twice è un thriller psicologico sull’abuso di potere. Pur essendo un film di fantasia, contiene temi maturi e rappresentazioni di violenza, anche sessuale. Questo potrebbe essere sconvolgente o scatenante per alcuni spettatori. Per trovare supporto visita il sito BlinkTwiceResources.com“. Annuncio, comparso in contemporanea, sulla pagina Instagram del distributore nordamericano Amazon Mgm Studios.
Le cose sono due: o il posto è una mossa di marketing (anche non molto geniale) che punta a catturare l’attenzione su qualcosa di troppo scandaloso per poter essere visto senza una previo advertising, oppure “Houston, abbiamo un problema“. Secondo IndieWire, Blink Twice sarebbe un thriller che indaga l’abuso di potere da parte degli uomini attraverso la figura di una specie di magnaccia, interpretato da Channing Tatum.
La storia somiglia terribilmente – nel senso letterario del termine – all’inquietante vicenda di Jeffrey Epstein, di cui ricordiamo il documentario di Netflix intitolato Jeffrey Epstein: soldi, potere e perversione. Consta di quattro episodi sul miliardario pedofilo e sua moglie, che per anni hanno perpetuato violenze nei confronti di giovani vittime, organizzando festini sulla loro isola privata Little Saint James; party a cui hanno partecipato personaggi importanti a livello globale (non si dimentichi lo scandalo del principe Andrea Windsor).
Non vorrei essere troppo indiscreta ma sembra che il movimento MeToo – e lo scandalo Weinstein – siano stati una specie di spartiacque, soprattutto nella cultura nordamericana. Particolarmente sensibili sull’argomento gli statunitensi che, ignavi di ciò che accade (per esempio) in Palestina, rimangono sensibili alla parità di genere. Specie se riguarda Hollywood, specie se riguarda le donne cisgender caucasiche.
Una lotta non esclude l’altra e non servono post Instagram per risvegliare le coscienze e permettere un migliore e scorrevole accesso ad argomenti difficili da raccontare e vedere. Non è un mondo anestetizzato quello a cui si vuole esporre la violenza e l’abuso ma è un mondo che si sta anestetizzando. Sembra una barzelletta su un bambino che vuole andare in bicicletta ma che non riesce a muoversi a causa dei paraurti che i genitori gli fanno indossare.
Non possiamo fare un processo alle intenzioni di Kravitz, tanto meno credo che lei possa aver influito sulle scelte di marketing. Ma davvero abbiamo bisogno di essere preparati a ciò che stiamo per vedere per poterlo vedere? Di quanti paraurti abbiamo bisogno prima di renderci conto che magari il pericolo è solo ipocondria?
Soprattutto, quale evoluzione sta avendo la nostra società rispetto alla rappresentazione e la divulgazione di temi sensibili? Non sono di certo disposta a credere che bastano degli advertising per risollevare le coscienze, quindi, in ultimo, quale potrebbe essere il fine? Se non quello economico, almeno ci spieghino quello pratico e i suoi risvolti psicologici e culturali.
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