Attrice, musa, regista. Chloë Sevigny, icona fragile e ribelle del post-glamour, emerge nel cinema indie americano come simbolo di una femminilità atipica.
Chloë Sevigny, fin dagli inizi, si è imposta come una personalità inconfondibile ma sempre sfuggente alle definizioni canoniche. Inizia la sua carriera negli anni ’90, nel cinema indipendente americano, diventandone uno dei volti più emblematici. Un’estetica androgina, grunge, post-glamour: Chloë è stata ed è tutt’oggi, simbolo di una bellezza parallela. Una figura enigmatica, “sporca”, che sembrava abitare sempre quella sorta di zona grigia di alienazione, desiderio e disagio. I suoi personaggi, donne non riconciliate, sofferenti, ma al tempo stesso dignitose, sono attraversati da una fragilità che non è mai innocenza ma seduzione. L’identità è un brand e Sevigny ha creato il suo linguaggio: libera, punk, provocatoria, fuori da ogni comfort narrativo.
L’esordio in Kids (1995) scritto da Harmony Korine e diretto da Larry Clark, racconta già tutto il suo avvenire. Sevigny è il volto di una giovinezza spezzata, contaminata, non concessa. Jennie è un personaggio perso, che vaga, incarna il trauma e il dolore, e Sevigny restituisce questa ferita con il corpo, lo sguardo vuoto e il silenzio. La ragazza è un’anima errante che non ha meta, e i tratti atipici dell’attrice statunitense ne restituivano con estrema naturalezza lo smarrimento profondo. Jennie cammina in un mondo che è già corrotto e, quindi, si fa carico silenziosamente del vuoto. È il primo segnale di un percorso che la vedrà attratta da personaggi ai margini, che custodiscono il dolore proteggendolo.
Gli anni più formativi di Chloë Sevigny sono stati segnati dalla relazione artistica e personale con Harmony Korine. I due hanno nobilitato e reso glamour il degrado, rendendolo poetico, costruendo l’estetica della marginalità. Periferie sbiadite, adolescenti abbandonati, sobborghi senza speranza, povertà. Sevigny è stata per Korine una musa fuori da ogni schema, un corpo non idealizzato e una bellezza imperfetta, di chi dentro ha qualcosa di spezzato. Anche in Gummo (1997) Sevigny interpreta una giovane ragazza dispersa nel vuoto suburbano dell’Ohio post-apocalittico. Qui, Chloë diventa parte del paesaggio stesso, e come gli altri personaggi, personifica il trauma collettivo.
In gran parte della sua filmografia, Sevigny sembra farsi allegoria vivente del dolore. Ma non il dolore spettacolarizzato, esplicito e interpretato. Al contrario è un dolore assimilato e portato addosso come un peso necessario, come se l’attrice si dovesse fare carico di una sofferenza comune, accogliendola. Sevigny è un’attrice corporea, che si esprime attraverso gli sguardi e i gesti, nel cui sottotesto sono impresse storie di abusi, lutti e crudeltà. Ogni suo personaggio è un’anima irrisolta: in Boys Don’t Cry è vittima dell’odio, mentre in Dogville ne è parte integrante e complice. In The Brown Bunny, invece, incorpora l’estensione di una ferita che si condensa in tutto il film e si fa reale.
Con Kitty (2016), presentato a Cannes, Chloë Sevigny esordisce alla regia. Il cortometraggio racconta la metamorfosi di una bambina, che silenziosamente si trasforma in un gatto. L’opera appare come una fiaba che, per alcuni versi, ricorda l’immaginazione inquieta dell’infanzia che è presente in Alice (1988) di Jan Švankmajer. Lo sguardo degli adulti è estraniato, poiché sono incapaci di comprendere il mondo emotivo dei bambini. Questi ultimi, di conseguenza, si rifugiano in un altrove in cui la libertà e la fantasia diventano l’unica salvezza.
Alterità, dolcezza e incomprensione sono i moti di questa poetica. Anche nei lavori successivi come Carmen (2017) e Lizzie (2018), e che sia davanti o dietro la macchina da presa, Sevigny è sempre vicina a identità dissonanti, malinconiche e dissacranti.
Sevigny è sempre stata un’icona fashion, dotata di una femminilità tutta sua, un’estetica che è il suo marchio di fabbrica. Dagli esordi nei ’90 come modella non professionista per Sassy, X-Girl e The Face, è evidente la sua dote innata di performer che sa come distinguersi, quasi inconsapevolmente, poiché la sua natura post-glamour e anticonvenzionale è autentica. Vintage, abiti maschili, punk, Sevigny viene scelta da designer indipendenti e successivamente anche da maison storiche. Nel tempo ha sfilato per Miu Miu, Simone Rocha, Dolce & Gabbana, Louis Vuitton, abitando sempre il suo stile disequilibrato ed elegante.
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