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Don't Die: l'uomo che vuole vivere per sempre

Don’t Die: l’uomo che vuole vivere per sempre, l’ossessione per l’immortalità

Cosa siamo disposti a fare per vivere il più a lungo possibile? E’ quello che si chiede il nuovo documentario Netflix, Don’t Die: l’uomo che vuole vivere per sempre, attraverso il racconto della storia del milionario Brayan Johnson e del suo stile di vita focalizzato sulle pratiche anti-aging.

L’esperimento di Johnson

Il protagonista del documentario Don’t Die è Brayan Johnson, fondatore della Braintree, società di sistemi di pagamento per l’ e-commerce. Dopo aver abbandonato la sua carriera e la sua precedente vita, a 45 anni ha intrapreso un viaggio che lo ha trasformato in un caso mediatico e scientifico. Il suo obiettivo è quello di sfidare il passaggio del tempo e ridurre l’età biologica attraverso un protocollo chiamato Blueprint, sviluppato grazie ad un team di esperti e scienziati, tra i quali il consulente di longevità Oliver Zolman.

Il documentario ci porta all’interno di una giornata tipo di Johnson. Dopo essersi svegliato alle 4.30 del mattino, Brayan ingerisce all’incirca 50 integratori diversi, seguite da un’ora di allenamento fisico monitorato. Ogni esercizio e ogni aspetto della sua routine vengono costantemente registrati, affinché l’algoritmo possa analizzare ogni singolo dato e ottimizzare il suo percorso verso la giovinezza.

Seguono varie terapie, tra cui una finalizzata alla crescita dei capelli, una per il ringiovanimento dell’udito e una elettro stimolazione addominale e la terapia HRV, finalizzata alla stimolazione del sistema parasimpatico al fine di migliorare anche la salute mentale. La giornata prosegue con i pasti, a base di verdure, altre pillole varie e visite mediche.

Infatti, oltre alla palestra personale e varie persone che si occupano della sua dieta, in casa di Brayan è presente anche un ambulatorio domestico, dotato di qualsiasi attrezzatura medica.

Fondamentale per la buona riuscita del suo esperimento e per il suo stile di vita sano è anche il sonno: lui stesso ci consiglia ad andare a letto sempre alla stessa ora, creando una routine efficace che possa donarci almeno otto ore di sonno continuativo.

Il regime ferreo di Johnson non si limita solo all’alimentazione e all’allenamento fisico, ma include anche terapie sperimentali. La più criticata è stata quella che ha previsto l’iniezione del plasma di suo figlio ventenne, fino all’utilizzo di farmaci particolarmente rischiosi.

In soli due anni, Johnson è riuscito a ringiovanire di ben 5 anni rispetto alla sua età biologica, arrivando a spendere milioni di dollari.

Dopo la pubblicazione di un articolo sul suo stile di vita, il caso di Brayan è diventato virale, sollevando anche polemiche tra il pubblico che lo ha etichettato come un ricco annoiato che, in un mondo di diseguaglianze sociali, spende una fortuna per fermare l’inevitabile processo di invecchiamento, mentre la maggior parte delle persone non ha nemmeno accesso ai mezzi necessari per condurre uno stile di vita sano.

Alle polemiche, Brayan risponde di essere consapevole che questo protocollo non sia applicabile alla maggior parte delle persone, ma ha deciso di immolarsi come caso scientifico per vedere fino a dove la scienza può spingersi per ritardare l’inevitabile destino umano, la morte.

Progresso scientifico o ossessione per l’immortalità?

Il documentario Don’t Die solleva questioni profonde che riguardano la nostra società e la nostra visione della vita e della morte. Mentre l’idea di vivere più a lungo e in salute è sicuramente affascinante, il percorso intrapreso da Johnson mette in luce un paradosso.

Se da un lato la scienza ci offre sempre più strumenti per migliorare la nostra longevità, dall’altro ci troviamo di fronte a un divario crescente tra chi ha accesso a queste risorse e chi non può permettersele.

Il protocollo Blueprint, seppur scientificamente avanzato, è inaccessibile per la maggior parte delle persone. La retorica del “se lo vuoi davvero, puoi farlo” suona vuota quando la maggior parte della popolazione mondiale non ha né il tempo né le risorse per intraprendere un percorso simile.

La domanda che il caso di Brayan solleva è se il desiderio di fermare l’invecchiamento non rischi di nascondere una realtà ancora più difficile da affrontare: la necessità di rivedere le disuguaglianze sociali, economiche e sanitarie e garantire a tutti l’accesso ad una vita più sana possibile.

In più, quello che trapela dal documentario, è una visione ridotta del concetto di vita, nel quale il corpo diventa una macchina da ottimizzare e la mente, i desideri, le emozioni e anche le debolezze vengono messe in secondo piano.

Johnson ha pianificato la sua vita e utilizzato le sue energie per vivere meglio, ma la vera questione è se un tale approccio possa davvero portare ad una vita piena, che valga la pena essere vissuta, ricca di imperfezioni ma anche spontanea e autentica.