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Elephant, Gus Van Sant e l’America armata

Gus Van Sant con Elephant racconta il massacro scolastico ispirato a Columbine, riflettendo su armi, adolescenza e silenzi della società americana.

Nel focus di oggi affrontiamo un tema delicato e quanto mai attuale: la diffusione delle armi negli Stati Uniti. E lo facciamo attraverso il cinema, che spesso ha saputo trattare argomenti drammatici con sguardo lucido, poetico e a volte spietato.

Aprile è un mese che inevitabilmente ci riporta alla memoria il tragico anniversario del massacro della Columbine High School, avvenuto il 20 aprile 1999. Un evento che ha segnato profondamente l’immaginario collettivo americano e non solo, diventando simbolo dell’emergenza legata alla violenza nelle scuole e alla deregulation del mercato delle armi da fuoco negli USA.

Un film che ha saputo rappresentare questo dolore collettivo con rara delicatezza mista a potenza è Elephant, diretto da Gus Van Sant nel 2003. Vincitore della Palma d’Oro e del premio per la miglior regia al Festival di Cannes, il film è liberamente ispirato al massacro della Columbine, ma sceglie di raccontarlo attraverso una prospettiva unica e sperimentale.

Il massacro scolastico come Elephant nella stanza

Il titolo stesso, Elephant, è una metafora potente: richiama l’espressione inglese the elephant in the room, ovvero il grande problema che tutti vedono ma che nessuno ha il coraggio di affrontare. Gus Van Sant, invece, lo affronta a viso aperto, senza proclami né retorica. Lo fa con uno stile registico che sposa la sospensione narrativa, l’osservazione silenziosa e l’empatia per ogni personaggio, vittime e carnefici compresi.

Il film segue una giornata apparentemente normale in una scuola superiore americana. Ma come la tagline recita: Un giorno qualunque di scuola superiore. Peccato che non lo è. Ed è proprio su questo assunto che Van Sant costruisce la sua narrazione.

Una regia ipnotica e uno sguardo corale

Attraverso lunghi piani sequenza e lenti movimenti di macchina, seguiamo le vite di diversi studenti – John, Elias, Michelle, Nathan, Brittany, Nicole, Jordan – ognuno immerso nelle proprie preoccupazioni quotidiane, nei propri silenzi e fragilità. Il regista li riprende mentre vagano nei corridoi, attraversano i campi sportivi o si rifugiano nei bagni della scuola.

Van Sant struttura il racconto in modo frammentato e circolare: le stesse scene vengono riviste da diverse angolazioni e punti di vista, offrendo allo spettatore una visione multipla degli eventi, fino a ricostruire l’attimo tragico in cui i due attentatori – Alex ed Eric – entrano nell’edificio con armi nei borsoni e l’intenzione di compiere un massacro.

I carnefici come vittime del sistema

Un elemento distintivo di Elephant è l’attenzione dedicata anche ai due school shooters. Van Sant non giustifica la violenza, ma cerca di comprenderne l’origine. Alex ed Eric vengono mostrati nella loro quotidianità fatta di noia, isolamento sociale, bullismo, videogiochi, lezioni di pianoforte e pianificazione meticolosa del massacro. Con annessa messa in mostra della facilità del reperimento dell’armamentario.

In una scena particolarmente toccante e ambigua, i due si baciano sotto la doccia, con la scusa di non aver mai baciato nessuno. Un gesto che mostra la loro fragilità e confusione, più che un’identità sessuale definita. È l’umanità dei carnefici che emerge, in tutta la sua contraddittorietà, e che il regista mette in luce con disarmante sincerità.

Temi sociali e psicologici: un ritratto complesso dell’adolescenza americana

Il film tocca numerosi temi che gravitano intorno alla vita degli adolescenti americani: l’ansia sociale (esemplificata da Michelle, goffa e timida, emarginata anche per l’aspetto fisico), i disturbi alimentari (con Brittany, Nicole e Jordan che si chiudono in bagno a vomitare per aderire a ideali irraggiungibili di bellezza), l’identità sessuale, la solitudine, l’incomunicabilità tra adulti e ragazzi.

Tutti elementi che contribuiscono a delineare un quadro inquietante ma autentico di una generazione lasciata sola, in un contesto scolastico che invece di accogliere e proteggere, spesso alimenta invisibilità, pressioni sociali e alienazione.

Elephant e la realtà: Columbine e la crisi delle armi negli USA

Il film non è un documentario, ma trae chiara ispirazione dalla tragedia della Columbine High School, dove due studenti armati uccisero 12 compagni e un insegnante prima di togliersi la vita. Un evento che ha scosso l’America e che ancora oggi è al centro del dibattito su accesso alle armi, salute mentale, cultura della violenza e responsabilità istituzionali.

Elephant non offre risposte semplici, ma invita a riflettere. Il suo valore sta proprio nel modo in cui evita la spettacolarizzazione della tragedia, optando per uno sguardo sospeso, freddo ma empatico, che mette in luce tanto l’orrore quanto il vuoto che lo precede.

Conclusione

Gus Van Sant firma con Elephant uno dei film più intensi e significativi del nuovo millennio. Un’opera che va oltre il cinema di denuncia per diventare una meditazione profonda sulla gioventù americana, sulla cultura delle armi e sull’incapacità collettiva di affrontare ciò che è sotto gli occhi di tutti.

Un film che, oggi più che mai, resta urgente, necessario e straziante. Un vero pugno nello stomaco, elegante e poetico nella forma, devastante nel contenuto.

Mattia Sabbioni

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