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Il Gladiatore II 101: il film, ma dal punto di vista storico
Il Gladiatore II è il film del momento, il ritorno tanto atteso dei gladiatori nell’arena. Eppure, non tutto è esattamente come dovrebbe essere.
C’è una cosa che ogni rievocatore del periodo romano fa. Mentre i gladiatori sono nell’arena, nell’attesa dell’inizio del combattimento, il lanista – colui che possiede i gladiatori – prende il microfono e avverte: “Il Gladiatore vi ha insegnato tutto sbagliato”.
Una delle accuse più frequenti mosse al film riguarda la gestualità che è entrata nell’immaginario collettivo: alla fine del combattimento, pollice in su per indicare la vita; pollice in giù per decretare la morte.
È una rappresentazione semplice, lineare e coerente con un assioma che tutti conosciamo: pollice in su per dire bello, pollice in giù per dire brutto.
Eppure, la realtà – dell’epoca – era ben diversa da quello che oramai tutti noi crediamo.
Mitte – la vita – veniva rappresentata con il pollice chiuso dentro la mano, in un riferimento ad una lama che viene rimessa dentro il proprio fodero; d’altra parte, la iugola – la morte – veniva rappresentata con il così detto pollice verso: mano aperta, il pollice dritto verso lo sconfitto, e le quattro dita invece piegate verso il basso.
Ridley Scott, regista sia de Il Gladiatore che de Il Gladiatore II, ha più volte risposto alle critiche relative alla scarsa aderenza storica dei suoi film con commenti lapidari, come il: Fatevi una vita.
Di certo, i due film non si propongono come documentari storici, e la romanzatura di alcuni eventi – ad esempio il breve regno congiunto di Geta e Caracalla, durato solo pochi mesi – sono espedienti narrativi volti a rendere la trama più avvincente. La storia romana è indubbiamente affascinante, ma qualche ritocco per adattarla al grande schermo non guasta, soprattutto per mantenere vivo l’effetto sorpresa.
Tuttavia, le numerose piccole imprecisioni, in particolare quelle legate al mondo della gladiatura, rappresentano una occasione persa per trasmettere al grande pubblico una comprensione più autentica di cosa significasse vivere nell’antica Roma. O, più nello specifico, di cosa significasse essere un gladiatore.

Gladiatori sì, ma a ognuno la sua classe
Per i Romani, i combattimenti nell’arena rappresentavano il famoso Panem et circenses, una locuzione che sintetizza ciò che davvero interessava al popolo romano: pane e giochi.
I giochi, avendo un ruolo cruciale nel mantenimento dell’ordine pubblico, dovevano essere il più scenografici possibile. Per rendere i combattimenti più spettacolari, i gladiatori venivano suddivisi in classi gladiatorie ben definite, ciascuna con un equipaggiamento specifico e con avversari prestabiliti, che potevano essere omologhi o contrapposti.
Nell’arena, quindi, non entravano uomini comuni, addestrati genericamente per combattere in modo casuale per la sopravvivenza. Al contrario, scendevano in campo veri e propri gladiatori che interpretavano una classe ben precisa, spesso ispirata ai popoli conquistati dai Romani.
Così l’arena veniva calcata da figure iconiche come i Traci, i Reziari, i Mirmilloni, i Secutor, i Provocator e i Galli.
Ma le gladiatrici?
Un’occasione persa de Il Gladiatore II è la mancata rappresentazione delle gladiatrici donne.
In una storiografia in cui le donne generalmente vengono relegate al mero ruolo di angelo del focolare domestico, gli antichi romani, invece, si innalzavano in fatto di empowerment femminile, e le donne potevano combattere ed essere pericolose tanto quanti gli uomini.
L’archeologia e la letteratura ci vengono in aiuto in questo campo, e a farne da portabandiera è la famosa stele di Alicarnasso, conservata al Brithish Museum, che raffigura due gladiatrici – donne – con il tipico equipaggiamento della classe gladiatoria dei Provocator. Hanno l’elmo posato a terra, e l’incisione ci svela i loro nomi: Achillia e Amazon.
Fu Settimo Severo nel 200 d.C. (vent’anni dopo l’ambientazione del film) a proibire il ricorso alle gladiatrici all’interno degli spettacoli.
Il film avrebbe potuto cogliere questa opportunità per presentare una figura femminile simbolo di forza e coraggio, non limitata a ruoli passivi o a manifestazioni di potere indiretto.
Le donne romane impugnavano la spada e affrontavano i pericoli con la stessa determinazione degli uomini.
Ave Caesar, morituri te salutant
La celebre frase, citata più volte anche nel film, Ave Caesar, morituri te salutant (letteralmente: Ave Cesare, coloro che stanno per morire ti salutano) è un altro esempio di falso storico che il film – consapevolmente o meno – sceglie di perpetuare.
Secondo quanto riportato dallo storico Svetonio, la frase fu effettivamente pronunciata, ma in un’occasione unica: prima di un combattimento, un gruppo di condannati a morte la utilizzò nel tentativo di ingraziarsi l’imperatore Claudio. Tuttavia, l’appello non ebbe l’effetto sperato.
Il film avrebbe potuto cogliere l’occasione non per perpetuare un falso storico, ma per dare invece nuove informazioni, sempre sceniche, che poco si conoscono della gladiatura: i gladiatori, una volta giunti nel ludus – la palestra gladiatoria – in un momento toccante, avrebbero recitato il sacramentum gladiatorium, giurando così, fedeltà alla propria palestra.
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Il Gladiatore II: tra calcio, scritte in inglese ed altri errori
Tante sono le piccole imprecisioni che, probabilmente, solo un occhio molto attento può notare.
La più evidente è forse quella che si verifica quando il personaggio interpretato da Paul Mescal visita la tomba di suo padre, il leggendario Massimo Decimo Meridio. Sopra la tomba è incisa l’iconica frase ripresa dal primo film: Ciò che facciamo in vita riecheggia nell’eternità.
Il problema? La scritta è in inglese, una lingua che i romani, ovviamente, non parlavano.
Un’altra stranezza legata alla scrittura si trova in diverse scene in cui compaiono veri e propri giornali stampati. Tuttavia, la stampa fu inventata in Europa soltanto nel XV secolo da Gutenberg. Gli antichi romani avevano, però, una loro versione dei moderni giornali: gli Acta Diurna. Su tavole imbiancate esposte al pubblico, venivano riportati resoconti quotidiani di eventi importanti accaduti a Roma, sia pubblici – come notizie giudiziarie e decreti imperiali – sia privati, come annunci di nascita, matrimonio o morte.
Un’altra scelta curiosa riguarda l’ambientazione di alcune scene in locali allestiti per richiamare bar e ristoranti moderni. Esistevano ai tempi? Probabilmente no, almeno non nella forma rappresentata nel film. E, certamente, non esisteva il tipo di vino che viene versato nei calici dei personaggi: nell’antica Roma si beveva il Mulsum, una miscela di vino e miele.
Infine, in una scena de Il Gladiatore II vediamo il giovane Lucius giocare a calcio. Sebbene il calcio come lo conosciamo oggi non esistesse, i romani praticavano una forma di gioco che può essere considerata un antenato del calcio moderno: l’Harpastum. Si trattava di un mix tra calcio, rugby e pallamano, senza porte, ma con regole che incoraggiavano la competizione fisica.
Naumachie, venationes e bestiarii: esistevano, ma non così
Tra le scene più epiche de Il Gladiatore II impossibile non citare prima quella riguardante i combattimenti nell’arena contro gli animali e, come seconda, il combattimento navale nella suggestiva cornice del Colosseo.
Nella prima, vediamo i gladiatori affrontare dei babbuini. È vero, nell’epoca romana, parte degli spettacoli che si intrattenevano all’interno dell’arena, erano quelli che vedevano coinvolti il combattimento di uomini contro degli animali. Non di gladiatori, però.
I gladiatori combattevano solo contro altri uomini; coloro che combattevano contro gli animali feroci erano i Bestiarii: o uomini condannati a morte destinati ad essere sbranati dalle fiere, o uomini liberi che decidevano di affrontare le bestie in maniera volontaria, che fosse per soldi, ammirazione o gloria.
Esistevano poi delle vere e proprie cacce, chiamate venationes, che si svolgevano all’interno dell’arena. Generalmente, queste si tenevano la mattina, prima del principale evento pomeridiano: i duelli gladiatori.
Anche i combattimenti navali, noti come naumachie, erano una realtà nell’antica Roma. Come rappresentato ne Il Gladiatore II, spesso si trattava di spettacolari rievocazioni di battaglie storiche realmente avvenute. Tuttavia, il film introduce elementi palesemente anacronistici, come la presenza degli squali.
Per i Romani, sarebbe stato impossibile catturare degli squali, trasportarli in una delle loro città e riempire un’arena con acqua salata necessaria per mantenerli in vita. Questo dettaglio, seppur suggestivo sul piano cinematografico, non ha alcun fondamento storico.

Rudis, resa e l’arbiter: Il Gladiatore II ci prova
Tra le imprecisioni presenti in Il Gladiatore II, ce ne sono due che colpiscono subito l’attenzione per essere una sorta di ci abbiamo provato, ma non del tutto.
Il combattimento centrale dell’intero film, quello tra i personaggi di Paul Mescal e Pedro Pascal, si conclude con la resa di quest’ultimo. Acacius (Pedro Pascal), impossibilitato a continuare la lotta contro il figlio dell’amata, simbolo delle speranze di Roma, si inginocchia a terra e alza la mano destra, dichiarando la sua sconfitta.
La realtà, però, era leggermente diversa. Durante i combattimenti, per dichiarare la propria resa, i combattenti dovevano inginocchiarsi a terra, poggiando un ginocchio sullo scudo, come segno di rinuncia alla difesa, e alzare un braccio, ma quello con cui non si teneva l’arma, verso l’alto, con un solo dito sollevato. Nel contempo, il braccio armato veniva portato dietro la schiena, come simbolo di rinuncia all’offesa.
L’altra imprecisione riguarda il rudis, l’arma di legno che simboleggia la libertà, che viene data al personaggio di Lucius prima del combattimento. Nel film, però, lo chiamano “rudio” e, soprattutto, lo consegnano al personaggio prima del combattimento, mentre, in realtà, il rudis veniva dato alla fine dei combattimenti, a rappresentare la libertà appena conquistata.
In più di un’occasione, risulta evidente la mancanza di qualcuno che controllasse i combattimenti. Per quanto possa sembrare anacronistico, i Romani tenevano particolarmente all’incolumità dei gladiatori (che erano, fondamentalmente, un investimento) e al corretto svolgimento dei duelli. Per questo motivo, ogni duello era presenziato dalla figura dell’arbiter (letteralmente: arbitro), colui che garantiva che venissero rispettate le regole del combattimento.
La linea che divide la storia e Il Gladiatore II
Il Gladiatore II risulta essere un quadro poco chiaro del periodo romano, tra storie romanzate, falsi storici fuorvianti e inesattezze.
Ambientato in epoca imperiale, unisce – soprattutto nell’armamentario gladiatorio – elementi sia del periodo storico che di quello precedente, quello repubblicano, separati da quasi mille anni di storia. Regalando così un’immagine confusa della vastità e della durata dell’Impero romano: è come se, nella migliore delle ipotesi, si usasse un moschetto del XVIII secolo durante la Seconda Guerra Mondiale; nella peggiore, uno spadone a due mani del 1400 sempre nella Seconda Guerra Mondiale.
Come detto in precedenza, però, Il Gladiatore II non si propone come un documentario storico, ma come un film che regala esattamente ciò che promette: una storia avvincente, Paul Mescal, combattimenti mozzafiato e tanto sangue.
Magari, però, sarebbe potuta essere l’occasione giusta per far conoscere, in maniera più accurata, il fascino della gladiatura – e dell’epoca romana – anche a chi non ha voglia di mettersi a leggere i famosi mattoni di storia.
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