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Almanacco Cinema presenta: intervista ad Aurin Proietti, acting coach de La città proibita

Le interviste: Aurin Proietti, acting coach di La città proibita

Almanacco Cinema presenta: intervista ad Aurin Proietti, acting coach pre-set e sul set di La città proibita di Gabriele Mainetti, ora al cinema.

La città proibita, l’ultimo film di Gabriele Mainetti (Lo chiamavano Jeeg Robot, Freaks Out) è un film dalle molte anime: action movie, commedia, thriller tarantiniano, film drammatico a tratti.

Cuore pulsante di questo film è una giovane attrice cinese di 33 anni, Yaxi Liu, nota in Italia per essere stata la controfigura di Yifei Liu, la protagonista del live action Disney Mulan. La storia di Liu è pressoché quella della giovane Mei che viene raccontata nel film: nata nella Cina nella quale era ancora in vigore la politica del figlio unico, ha studiato per anni arti marziali insieme al fratello – nel film insieme alla sorella – fino a diventare una brava stunt cinematografica.

Per la preparazione del suo personaggio, come degli altri personaggi del film, la casa di produzione Wildside a un’acting coach d’eccezione: la italo-inglese Aurin Proietti, che a Roma, in zona Trastevere, gestisce uno studio-progetto dedicato agli attori di cinema e teatro, Efilsitra, che è diventato anche un metodo attoriale. Ed è da qui che ha inizio la nostra chiacchierata.

Almanacco Cinema presenta: Aurin Proietti, acting coach internazionale, attrice e regista

In cosa consiste il tuo metodo e com’è nato il progetto Efilsitra?

“Efilsitra nasce nel 2012. Io ho iniziato a insegnare da molto giovane, nel 2007, quando facevo ancora l’attrice. Già da bambina mi inserivo in questi gruppi di lavoro che appartenevano alla psicologia transpersonale umanistica. Poi crescendo ho voluto formarmi professionalmente: così, parallelamente alla mia attività come attrice, portavo avanti questa formazione nelle terapie olistiche.

A un certo ho iniziato a tenere corsi inerenti le arti terapie e lì ho capito che mi piaceva lavorare con le persone. Poi, un per caso, una scuola mi ha chiesto di iniziare a insegnare. Piano piano dedicavo un po’ di tempo per sviluppare sempre di più questa parte.

Con il passare degli anni – nel frattempo ho vissuto a New York, e ho studiato con grandi coach – portavo avanti le due attività, cercando di creare ponteggi. Ho iniziato a sviluppare il mio metodo lavorando sulle persone comuni: ho sperimentato molte tecniche con aziende, business man, psicologi, bambini, persone anziane.

Ho sperimentato con tutti per poi passare al lavoro con l’attore, perché credo che l’attore rappresenti la pura essenza dell’essere umano. Quello è stata una vera rivelazione. Inizialmente, partendo da masterclass e poi con un laboratorio permanente a Roma, ho portato avanti l’evoluzione di questa tecnica, che è specifica per il lavoro “in camera” e va ad agire a livello a livello psicofisico ed emotivo. C’è un lavoro su sé stessi volto a raggiungere una consapevolezza maggiore del processo creativo, per potenziare i talenti dell’artista e lavorare in modo costruttivo sui limiti, che non vanno eliminati ma messi in funzione, sviluppando l’unicità di ciascuno. Il lavoro viene molto personalizzato a seconda dell’attore che ho di fronte.

Tutto questo ha preso varie forme: classi settimanali, coaching privato, di preparazione del personaggio. E poi sono iniziati i lavori sul set. A un certo punto, tanti anni fa, ho deciso di abbandonare del tutto la mia attività di attrice per concentrarmi sul coaching e l’insegnamento, che per me sono completamente in linea con la mia missione in questa vita. Amo recitare ma non è quella la mia strada”.

Quali erano gli obiettivi che ti eri prefissata?

“Credo tantissimo nella creatività che risiede in ciascun essere umano come grande motore di trasformazione, e credo che l’arte possa fare la differenza, a questo mondo. Credo che l’attore abbia un potere pazzesco per fare la differenza, quindi creare attori sani e consapevoli, quelli che io chiamo ‘warrior artist’, è importantissimo. Ci credo e lo sto facendo: nel mio piccolo la differenza si vede e si sente”.

Mi ha incuriosito il tuo concetto di “warrior artist”: che cosa fa questo “artista guerriero”?

L’artista guerriero è innanzitutto un artista che crede profondamente nella sua arte, non si fa fermare dai limiti. L’attore è una persona che deve scontrarsi con tantissimi ostacoli, perché abbiamo la bellezza e la purezza dell’arte ma abbiamo anche il mondo dello spettacolo, che non è proprio colmo di bellezza. Si scontra continuamente con questa dualità e invece di soffrirne prende forza da questo per superare gli ostacoli. E si prende la responsabilità di non essere vittima e combattere per cercare di ottenere un bene comune. Per questo anche l’unione fra attori è fondamentale”.

Aurin Proietti e Yaxi Liu

Tu mi hai parlato di artisti guerrieri in senso simbolico ma in effetti, sul set de La città proibita, tu hai preparato warrior artist nel senso letterale del termine: basta vedere Yaxi Liu nel film…

“Lei in tutti i sensi è stata una warrior artist, perché non è stato semplice e non si è mai abbattuta”.

Hai seguito solo lei?

“Ufficialmente ho preparato lei, perché sono stata ingaggiata dalla Wildside (la società di produzione del film, ndr) ma poi ero la coach del set: ho preparato anche l’attore indiano, che è in cucina, l’attore africano… Ma loro arrivati a me attraverso la preparazione che avevo fatto a Enrico (Enrico Borello, nel film interpreta Marcello, ndr) per i provini.

A un certo punto lui era già in call back, io lo avevo preparato per gli ultimi call back, ma nel frattempo la Wildside aveva visto la differenza tra il prima e il dopo, e quindi mi ha ingaggiata. Ho iniziato a lavorare con Yaxi ancor prima che Enrico fosse scelto. Quando è stato scelto, lui ha voluto continuare a lavorare sul personaggio con me, ma in privato”.

Quali sono state le tappe del lavoro con Yaxi?

“Abbiamo iniziato ad aprile a lavorare in studio da me, alcune volte abbiamo lavorato anche con Enrico presente perché dovevamo costruire una relazione, un’intimità, tra di loro, lavorando anche sui vari conflitti tra di loro. A volte è stato presente anche Gabriele (Mainetti, ndr). A fine maggio abbiamo iniziato a lavorare sul set.

È stato bello, perché di solito mi capita di seguire gli attori in privato o solo sul set, invece quando si uniscono il lavoro pre-set e quello del set è veramente il massimo nella resa”.

In quali fasi è consistita la preparazione degli attori che hai seguito?

“La preparazione, come ti dicevo, cambia tantissimo a seconda dell’attore che mi trovo davanti. Nel caso di Enrico, io già lo conoscevo perché avevamo preparato altri provini in passato, quindi è stato diverso. Con lei io ho iniziato da zero, studiandomela da sola, e ho avuto molto più tempo per conoscerla. Gabriele mi ha mandato i suoi provini, ho parlato a lungo con la casting Teresa Razzauti, ho parlato con Gabriele di lei, e lui mi ha mandato diversi film da guardare, cinesi e coreani, con protagoniste che erano eroine. Poi l’ho incontrata ed è stato come se la conoscessi da tantissimo tempo. Con lei è stata una scoperta passo dopo passo. Quando ho una persona davanti, tendenzialmente capisco diverse cose. Con lei sotto questo aspetto è tanto molto semplice.

Abbiamo iniziato da un lavoro su di lei: mi ha raccontato determinate cose della sua vita, l’ho dovuta conoscere. Poi siamo passate a un’intervista del personaggio, a una biografia di Mei che andava al di là della storia ma arrivava fino alla storia del film. L’abbiamo scritta, dal principio al momento in cui lei arriva a Roma per incontrare la sorella. Abbiamo cercato di creare ponti tra la vita di Yaxi e quella di Mei, perché hanno delle cose in comune”.

Yaxi non ha avuto bisogno di grande fantasia per calarsi in un ruolo che un po’ le somiglia: sia Yaxi che Mei sono cresciute nella Cina della politica del figlio unico, non primogenite, con fratelli/sorelle con cui hanno studiato arti marziali…

“L’impianto è simile, ci sono molte similitudini. Però ci sono anche molte differenze: se ti capitasse di conoscere Yaxi, saresti molto sorpresa di scoprire che in realtà è una ragazza molto timida, con la vocina (ride, ndr). Per farle tirare fuori quello che ha tirato fuori, ovviamente, abbiamo dovuto lavorare tanto.

Sul fatto di strutturare Mei come se, prima di arrivare a Roma, avesse sempre vissuto rinchiusa, nascosta, con la sorella come unico tramite con il mondo esterno. Fino a che non ha preso il coraggio di partire di nascosto a Roma, come immigrata clandestina, per cercare la sorella di cui non ha più notizie.

L’effetto stesso di uscire fuori nel mondo dopo anni di clausura attiva una forza animale. Lei non ha paure, ha un obiettivo e lo deve raggiungere. Abbiamo lavorato molto su questo e su trovare quella forza animale di sopravvivenza e di volontà dentro Yaxi, che la possiede ma che è orientata in modo diverso.

L’altro aspetto è che Yaxi, come stuntwoman, è abituata a non sentire il proprio corpo, perché lo deve controllare, quindi abbiamo lavorato sul portarla a sentire il corpo per poter arrivare all’emozione. Nella fase di combattimento, ok, non serviva che si sentisse l’emozione, ma nella fase opposta era importante che potesse sentirsi per capire quello che le avveniva in pancia, nel cuore”.

In effetti l’emozione, specialmente in una parte del film, è preponderante. Basti pensare a quando ritrova la sorella, senza fare spoiler… Penso che prepararla per quella scena sia stato molto impegnativo.

“A quel punto non ha più nulla da perdere, in testa ha solo la vendetta, che le parte dall’istinto di sopravvivenza, quello animale. Invece l’aspetto più bambino, più vulnerabile, viene fuori nelle scene d’amore, con quella parte più buffa, goffa, di lei. Abbiamo lavorato molto su questa dualità: la parte esterna, che si difende, e la parte interna caratterizzata da una grandissima vulnerabilità. Vivendo segregata, poi, è rimasta un po’ bambina, e l’unica cosa che conosce è il combattimento.

Abbiamo molto lavorato anche il suo potere di osservazione: vivendo segregata si è affacciata alla finestra e ha osservato tante volte il mondo esterno. Immagina tutto ciò che lei ha potuto carpire. C’è una specificità immensa nella sua osservazione”.

Quale tipo di esercizi hai fatto fare a Yaxi e ad Enrico in fase di preparazione?

All’inizio le ho fatto una serie di domande intime per conoscere la sua storia, le sue paure, i suoi desideri e i suoi bisogni. Poi le ho chiesto di essere Mei e, in quanto Mei, lei ha risposto a determinate domande. Poi abbiamo scritto la biografia del personaggio, le davo esercizi da fare su questo, ci vedevamo quasi tutti i giorni ma poi lei continuava a lavorare anche da sola. Dopo abbiamo iniziato a lavorare sul suo corpo con esercizi fisici di movimento e azione con la musica e catartici, di respiro, per aprire un varco per farla arrivare a sentirsi. Alcuni di questi esercizi doveva continuare a farli anche da sola. Dopodiché abbiamo iniziato a lavorare sulle scene, elaborando sottotesti, monologhi interiori che lei ha anche nelle scene di combattimento.

Lei non parla molto, ma è evidente che c’è un pensiero sottostante che le fa fare quello che fa. Abbiamo lavorato con il sottotetto ad alta voce ogni singola scena, creando i passaggi tra una scena e l’altra, le scene che non si vedono. Un espediente che ho sviluppato con lei e che su di lei era molto efficace era dare un clima a ogni singolo momento di ogni singola scena. ‘Qui com’è? Nuvoloso? Poi come diventa, tempesta?’. Questo le permetteva di attivare i sensi, di entrare in un determinato mood. Poi il lavoro sul bisogno e sull’obiettivo: tutto ciò che facciamo lo facciamo spinti da un bisogno, che fa da motore in senso positivo e negativo. Combattiamo per cercare di appagare quel bisogno”.

E Yaxi di che cosa aveva bisogno?

“È troppo privato (ride, ndr). Ci sono diversi bisogni sui quali abbiamo lavorato. Ti posso dire che ogni scena aveva un bisogno, un motore, un qualcosa che la spingeva a raggiungere un obiettivo. E poi abbiamo lavorato tanto a tirarle fuori la voce, perché lei in generale è molto mentale. Anche quello ha una dualità: da una parte c’è una grandissima volontà e determinazione, dall’altra ha molto controllo. Quel controllo lo abbiamo spezzato e abbiamo utilizzato più la parte di volontà. Attraverso esercizi fisici abbiamo reso la sua voce molto più di pancia che di testa.

È stato bello farla relazionare con Enrico: avevano una bellissima intesa. Anche lì abbiamo fatto molti esercizi insieme di comunicazione che lavoravano molto anche a livello non verbale. Anche lì abbiamo lavorato sui bisogni, sulle paure che uno proiettava sull’altra, sugli elementi di attrazione e su una forza più sessuale. Poi tutto questo è stato riportato sul set”.

La differenza linguistica è stata un problema? Te lo chiedo dal momento che Yaxi parla solo cinese…

Assolutamente no. Ho facilità nella comunicazione non verbale, essendo io cresciuta in diversi Paesi del mondo. Questo un po’ mi facilita la comprensione dell’essere umano al di là della parola. Per me la parola è secondaria. Con lei questa comunicazione si è attivata tantissimo.

Siamo state fortunate perché avevamo una traduttrice fantastica, molto empatica. Siamo diventate amiche. Poi mi sono vista con Yaxi anche da sola, e… in qualche modo ci intendiamo. Sono abituata a lavorare con attori di altre culture, ma Yaxi è la prima attrice cinese con cui ho lavorato”.

Il regista del film Gabriele Mainetti ti ha dato qualche linea guida nel preparare gli attori? Cosa vi siete detti?

Lui ha le idee molto chiare, e questo aiuta tantissimo. Ha le idee chiare su ciò che vuole ottenere da un attore, come vede il personaggio, ed è molto bravo a carpire potenzialità e limiti di ciascuno. Sicuramente lo aiuta il fatto di essere stato lui stesso un attore: il fatto stesso di aver chiamato una coach per preparare gli attori lo dimostra. Ma anche il tipo di linguaggio che abbiamo adottato nello scambio di idee è stato facilitato.

Inizialmente, su Yaxi, lui mi ha detto che aveva visto grandi punti in comune tra lei e Mei ma che Yaxi avrebbe dovuto lavorare molto sulla parte emotiva e “rompersi”. Sull’aspetto della voce lui puntava tantissimo, e anche sul fatto che ci fosse una piena alchimia tra le scene di combattimento e quelle in cui si relaziona. Poi, come ti dicevo, mi ha fatto vedere dei film (tra questi il thailandese Chocolate di Prachya Pinkaew, ndr) e sequenze specifiche. Tutto in lingua originale senza sottotitoli, ma riuscivo comunque a seguire un po’ l’arco dei personaggi (ride, ndr).

Quando veniva in studio vedeva il lavoro fisico-emozionale e rimaneva molto impressionato. Diceva: ‘Vedo una grossa differenza a livello energetico, di magnetismo’. Quando lavoravamo sulle scene in sua presenza a volte dava suggerimenti sul modo in cui avrebbe dovuto dire le battute. Mi sono trovata molto bene a trovare con lui, soprattutto nella fase preliminare. E penso che sia molto soddisfatto del lavoro fatto con Yaxi”.

Ti va di raccontarci un aneddoto dal set?

“Gabriele Mainetti è un regista che tendenzialmente fa molti ciak, aspira alla perfezione a livello tecnico e di resa attoriale. Questo lo portava a fare tantissimi ciak. La scena della fossa, che era una nostra grossa preoccupazione, non puoi capire quanto l’ho lavorata, sia con Yaxi che con Enrico. Quella scena Enrico l’aveva già nel provino, quindi l’abbiamo lavorata benissimo. Quando l’abbiamo girata, toccava a lei: primo piano quando [SPOILER] scopre il corpo della sorella. Azione: lei, pazzesca, l’azzecca in pieno. Stop, e lui dice: ‘C’è l’ho’, dopo il primo ciak. Tutti quanti lo abbiamo guardato scioccati. L’aiuto regia e la segretaria d’edizione gli hanno detto: ‘Ok, ma facciamone un’altra!’. Alla fine ha fatto in totale tre ciak.

Dopo queste scene di grande emotività lui l’andava a ringraziare e le diceva che vedeva proprio il lavoro era stato svolto. È stato un set bello ma tosto, con quasi tutte notturne”.

Oltre al cast di La città proibita, chi altro è passato per Efilstra?

“Io preparo attori di un po’ tutte le età ed esperienze. Per quanto riguarda le preparazioni di personaggi, l’ultima attrice che ho preparato per un ruolo è stata Paola Minaccioni per Diamanti (in cui interpretava il ruolo della sarta Nina, ndr). Poi ci sono altri nomi di rilievo: per un film in lingua inglese che poi è stato bloccato ho lavorato con Micaela Ramazzotti, poi per uno spettacolo che ha portato in tournée Sabina Guzzanti. Ho lavorato per un po’ anche con Francesca Reggiani”.

 

Ringraziamo Aurin Proietti per il lungo tempo che ci ha dedicato.