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Le interviste: Fabrizio Manfredi, voce dei big del cinema USA
Continua il tandem Calciostyle – Almanacco Cinema: oggi vi proponiamo la nostra intervista a Fabrizio Manfredi, uno dei doppiatori più importanti in Italia.
(intervista a cura di Matteo Guglielmino)
Abbiamo avuto il piacere di intervistare uno dei doppiatori più importanti del panorama italiano: voce di Leonardo DiCaprio, Johnny Depp e Bradley Cooper, solo per citarne alcuni.
Fabrizio Manfredi ha da poco festeggiato i 50 anni di carriera. Prima doppiatore, poi direttore ma anche dialoghista. Ecco che cosa ci ha raccontato sul suo mestiere e sulla sua storia.
L’intervista a Fabrizio Manfredi
Lei ha iniziato la sua lunga carriera nel mondo del doppiaggio all’età di cinque anni. Ci racconta com’è iniziata?
“Come spesso succede ai bambini, è iniziata per caso. Mi ha portato mio cugino, che già era nell’ambiente: serviva un bambino e mi ha visto potenzialmente adatto. Ad oggi non mi sono più fermato. E’ sempre stato un divertimento. Un gioco prima, poi è diventata la mia professione. Il nostro è un lavoro divertente, ma allo stesso tempo di enorme responsabilità.
Arnold è stata la stella d’oriente. Ha sancito la mia carriera, lanciandomi, ma ho iniziato ancora prima: per esempio Giovani Canaglie per la Rai. Michele De Padova mi ha permesso di fare il provino per la sitcom Arnold, e fui scelto.
L’ho iniziato da giovanissimo per poi concluderlo che in sala prove arrivavo con la mia macchina. Ci sono cresciuto insieme. Forse il lavoro più importante della mia vita, mi ha permesso di essere presentato da Mike Bongiorno“.
Avendo iniziato la carriera così giovane, come ha vissuto la sua adolescenza? Si sente privato di un qualcosa?
“Ho perso molto della mia adolescenza. Ho sempre lavorato, subito dopo la scuola. Da piccolino, con La Fenice e il Tappeto Magico, si finiva di doppiare alle 22:30: per un bambino non proprio il massimo. La mia vita l’ho vissuta quasi al contrario: da bambino avvolte si lavorava anche la Domenica, ma ad oggi rifarei tutto. Ho perso qualcosa, ma ho ricevuto un bagaglio culturale arricchito: quello che ho lo devo al doppiaggio. Tirando le somme, la mia è stata una carriera pazzesca. Sono felice così”.
Nel lavoro ha avuto una guida da cui prendere esempio?
“Ho avuto la fortuna di iniziare nel momento di massimo fulgore del doppiaggio. Cigoli, Panigali, Di Meo: grandi miti. Loro le mie guide. Con Emilio Cigoli, che era la voce di tutti i più grandi attori americani e francesi, ho fatto Arnold gomito a gomito: è stato un onore. Ho vissuto il momento d’oro, il che mi ha permesso di non avere soltanto una guida ma più di una“.
Ha condiviso la sala di doppiaggio con i più grandi interpreti del cinema. Ci può raccontare qualche aneddoto?
“Di certo ricordo con molto piacere Alberto Sordi. Stavamo doppiando Il marchese del grillo, dove io ero suo nipote. Lui mi volle vicino in sala di doppiaggio e rimase impressionato perché finimmo di girare le sequenze rapidamente. Dopo mi invitò a pranzo, a base di polpette e cicoria, ed io ci mangiai insieme. Ricordo inoltre quando stetti gomito a gomito con Sergio Leone per C’era una volta in America. Ne sono veramente grato”.
Come è cambiato il doppiaggio? C’è il rischio di essere soppiantati dall’intelligenza artificiale?
“Da quando ho iniziato io è cambiato molto. Anche per la mole di lavoro: agli inizi c’era solo RaiUno, fino ad arrivare ai giorni nostri con le tv private. Prima c’erano i fonici che erano importanti, quasi delle istituzioni. Agli inizi si girava in elettronica. C’era il nastrino e il magnete, i video registratori erano grandi come comò e le cassette grandi come un libro di un enciclopedia: tutto un po’ antesignano.
Oggi c’è il digitale, si usano le chiavette usb. La sala è la stessa, ma spesso si doppia soli per motivi organizzativi. L’intelligenza artificiale, però, non sarà un problema: è troppo indietro rispetto al nostro doppiaggio. Abbiamo un secolo di storia, sarà difficile raggiungerci”.
Lei è stata la voce di tanti, tante scene alle spalle. Ce ne sono state di difficili?
“Sì, per esempio in La maschera di ferro. DiCaprio faceva due personaggi: dovevo recitare da buono e da cattivo. Il miglio verde, altro capolavoro, interpretando Percy Wetmore, mi sono messo alla prova: quando muore e quindi io con lui, non è stato semplice. Ogni film è una creatura che ha bisogno di accortezze e ogni personaggio è a sé“.
E il doppiaggio di cartoni e videogiochi?
“Nella mia carriera ho fatto anche questo, doppiando Futurama ma anche Georgie. C’è differenza, però, con attori in presa diretta: il cartone animato ti lascia più interpretazione e fantasia. Gli attori invece vanno imitati“.
Prima doppiatore, poi direttore e dialoghista: quali sono i progetti futuri di Fabrizio Manfredi?
“I miei progetti futuri sono quelli di continuare il mio lavoro, potendo aiutare con la mia esperienza. Mettere a disposizione il mio sapere per gli altri, essere una guida. Vorrei tramandare il mio bagaglio culturale per aiutare i futuri doppiatori a eliminare più lacune possibili“.