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Le interviste: Mauro Borrelli, regista di The Last Supper
Mauro Borrelli
Almanacco Cinema presenta: intervista a Mauro Borrelli, sceneggiatore e regista italiano da tempo attivo oltre oceano, di recente al cinema con The Last Supper.
Almanacco Cinema presenta: intervista a Mauro Borrelli
Dal 1897 ad oggi sono oltre duecento i film che hanno avuto come protagonista la persona di Gesù Cristo. Perché, da regista e drammaturgo, cosa ti ha spinto a cimentarti anche tu in questa “avventura”? Credi ci sia una specifica esigenza o urgenza nel raccontare Gesù Cristo, oggi?
M.B.: “Il tema, o meglio, l’idea di fare un film biblico nasce in un momento in cui a Los Angeles c’è un grosso sciopero di attori, e quindi l’idea fare qualche cosa di più intimo, di più piccolo, magari utilizzando attori stranieri, magari facendo un film in Italia, in un ambiente circoscritto, mi spinse a cercare un’idea che si potesse fare… chiaramente i generi che ti permettono questo tipo di approccio, più intimo per così dire, sono pochi: ad esempio l’horror o il thriller.
Ma proprio quando stavo pensando ad un soggetto che potesse collimare con questo tipo di idea, riguardavo l’Ultima Cena di Leonardo… ed ecco, l’idea di fare un film attorno all’Ultima Cena, immaginando a ciò che potesse succedere in un ambiente così circoscritto, quasi appunto come fosse un thriller, una “Agatha Christie story”, in cui il traditore doveva essere scoperto, e magari trattando Peter e Thomas come Sherlock Holmes e Watson… questa cosa mi ispirò. Poi, successivamente, ho scoperto che non c’era un altro film fatto attorno all’ultima cena, e allora per me la cosa diventò un challenge… mi dissi: “ma pensa che cosa incredibile che un momento così importante per tante persone nel mondo, per tanti fedeli, cristiani, non sia mai stato sviluppato in un film!”
E quindi iniziai a scriverlo. All’inizio era un film più intimo, poi una società di produzione è entrata nel progetto, e lì il film non è più diventato soltanto un piccolo film in un ambiente circoscritto, come voleva essere inizialmente, ma qualcosa di un po’ più epico, con tantissimi ambienti, con scene di massa, con circa 250 comparse al giorno… però, ecco, da lì nasce l’idea. Che si è poi espansa per diventare un film più importante.
E la cosa interessante è che è proprio nel cercare di essere fedeli alle Scritture e in particolare ai Vangeli si è creato, per me, questo challenge: dover essere da un lato fedeli a ciò che è scritto, non scontentando il pubblico che si aspetta da un film di questo tipo una storia, diciamo, fedele al racconto dei Vangeli, dall’altro riempiendo le lacune delle parti mancanti riempiendole con cose plausibili. E dunque ci sono state ricerche approfondite riguardo cosa mangiavano quel periodo, qual era la celebrazione ebraica nel periodo in cui avviene l’Ultima Cena e quali erano le tradizioni ebraiche connesse… quindi, per me, da regista e drammaturgo, l’idea di cimentarmi in questo progetto è stata soprattutto l’idea di una scommessa, cioè di imparare qualche cosa, di fare qualcosa di estremamente difficile perché c’è una linea di equilibrio molto, molto leggera: basta uscire di poco dal binario per scontentare i teologi oppure i fedeli, dunque la scommessa era fare ricerca, accontentando il pubblico, ma al contempo avere uno spazio cinematografico”.
Leggo che all’inizio della tua carriera hai avuto l’opportunità di lavorare con moltissimi registi di grande nome, tra i quali alcuni fra i miei preferiti: Coppola, Tim Burton, Quentin Tarantino… cosa ti hanno insegnato e quali esperienze o episodi ti sono rimasti nel cuore?
M.B.: “Sì, è vero, ho avuto l’opportunità di lavorare con tanti registi affermati, Coppola, Tim Burton, Tarantino… e tra questi aggiungerei anche Spielberg. Potrei dire che i miei favoriti siano Tim Burton e Coppola, due personalità completamente diverse, uno – Coppola – che mi ha insegnato l’importanza della sceneggiatura e quindi delle motivazioni da dare agli attori, il rapporto con la crew, come organizzare una crew forte, giusta anche nei ruoli, e come ogni film sia una storia, cioè: è il film che chiama lo stile, non è il regista che chiama lo stile.
Coppola dice, ad esempio: nel Padrino c’è un linguaggio classico, una grammatica classica, la camera è posta a cinque piedi e mezzo d’altezza, l’orizzonte sempre orizzontale, le lenti sono di un certo tipo, ecc., perché quel tipo di storia chiama un certo tipo di grammatica visuale. Invece poi ci sono film come Rusty il Selvaggio in cui la camera è a terra, ci sono gli angoli strani, perché quel film lì abbisognava di uno stile, di una grammatica diversa.
Tim Burton, invece, ha il suo stile: il suo stile prevarica il soggetto; cioè, in ogni film che vedrete di Tim Burton, c’è sempre la mano di Tim Burton, il suo stile, la sua impronta. Uno estremamente filosofico, letterato, come Coppola, l’altro estremamente visuale, fantasioso, geniale. Ecco, io mi sento, diciamo, più vicino forse a Tim Burton da un certo punto di vista anche se l’insegnamento di Coppola ha avuto un grande effetto ed un forte impatto su di me, una grossa influenza. Tarantino lo trovo geniale, anche lui, in quanto è un mostro con la sceneggiatura e con i dialoghi, e come imposta le scene … è strepitoso! Estremamente diversi, l’uno dall’altro.
L’esperienza di lavorare con Ang Lee è stata ancora diversa: un po’ come nei film di Sergio Leone, Ang Lee è uno che si sporca le mani sul set, nelle scene di combattimento si mette anche lui a combattere per far vedere come si fa, è davvero divertente!”.
Nel tuo percorso hai spaziato su diversi generi, horror, fantasy, drammatico… hai mai desiderato essere un regista “di genere”, o meglio ti rispecchi in particolare in un genere specifico?
M.B.: “Sì, ho spaziato in diversi generi, anche perché ho voluto sperimentare… inizialmente mi piaceva l’idea dell’horror per la qualità manipolativa che il genere offre: un regista dell’horror veramente è il mago che, se vuole, “manipola” l’audience e li fa andare dove vuole!
Però, ad oggi, se dovessi scegliere un genere che mi appassiona, sono più orientato verso il genere fantasy, il genere – chiamiamolo così – “Guillermo del Toro”: ad esempio, il mio sogno sarebbe sempre stato fare un Pinocchio, una fiaba dove il visuale e la narrazione si incrociano; o magari un film come i Pirati dei Caraibi, ecco, questo è un genere dove credo di poter dare il meglio di me stesso, in quanto ho un background di visuale e anche un’ampia conoscenza degli effetti speciali che mi potrebbe dare una marcia in più su quei generi”.
La tua formazione è anche artistico-visuale, sei partito dalle belle arti. Qual è il tuo rapporto col mondo del fumetto e cosa pensi del cine-comic come forma espressiva in epoca attuale?
M.B.: “Sì, ho studiato al Liceo Artistico di Verona e all’Accademia delle Belle Arti di Venezia e tutto il mondo della pittura e il rapporto con la pittura, specialmente per quanto riguarda la composizione mi viene da lì.
Per quanto riguarda il fumetto, qui negli Stati Uniti dove vivo rappresenta una componente molto forte, soprattutto all’interno dell’universo del Cinema, specialmente del Cinema spettacolare. Io sono stato un grande amante di film come The Crow, il Corvo, che, per fare un esempio, si basa proprio su un fumetto, e poi pensiamo a tutta la Marvel e a tutta la produzione di film di super-eroi che non sono altro che una trasposizione dei miti greci, cioè quei mezzi dei mezzi umani che non sono altro che gli eroi della Marvel!
Nel mondo fumettistico ho avuto occasione di lavorare su Capitan America, creando buona parte del visuale, in quanto artista concettuale. Non come regista, a quel tempo mi occupavo di visuale. (…) Va detto che, quando si parla di cinema legato al fumetto, c’è anche tutta una questione di marketing legata al merchandising che ha una certa influenza e quindi spesso si parte proprio da un lavoro di disegno e di arte e di creatività e di visuale”.
A proposito di generi, leggo che il tuo attore protagonista in Last Supper è anche protagonista di un musical cinematografico. Hai mai pensato di esplorare anche questo genere? E, rispetto al tuo film in particolare, hai tratto qualche spunto o ispirazione anche dal mitico Jesus Christ Superstar?
M.B. “Che dire?, io stesso sono cresciuto in un Teatro d’Opera, perché la mia nonnina era custode del Teatro Sociale di Rovigo e lo è stato per 30 anni, ed io sono cresciuto nel backstage di quel teatro, e da piccino ho visto decine di opere ed operette.
Personalmente, non sono un cultore del genere musical, e pur avendo apprezzato il JCS, l’approccio dell’opera-musical è decisamente diverso da quello di questo mio film. Mentre Jesus Christ Superstar è un film che è stato anche un po’ controverso, sotto certi aspetti, in Last Supper c’è stato proprio uno sforzo, anche in accordo con la società di produzione, di fare un film assolutamente NON controverso, che lasciasse il pubblico di fedeli soddisfatto tanto quanto il pubblico che non va in chiesa.
Un film che lasciasse una rappresentazione, come dicevo prima, quanto più possibile legata alle Scritture dei Vangeli. E, nel fare questa delicata operazione, cercare di riunire, non di dividere: mostrare ad esempio il mondo ebraico e il mondo cristiano evangelico e il mondo cristiano cattolico e dunque trovare una chiave grazie alla quale tutti potessero essere contenti e uscissero dalla sala con una sensazione di esperienza di “autenticità”… ecco, questa è la parola giusta.
L’autenticità è stata una delle chiavi del film: con i costumisti, gli scenografi e con gli attori, nel fare le riprese in Marocco ci siamo posti come primissima intenzione quella di creare qualcosa che fosse il più autentico possibile, perché chi guardasse il film si sentisse trasportato in quei momenti, in quel particolare contesto storico, affinché lo vivesse insieme a noi”.
Ringraziamo Mauro Borrelli per la gentilezza e la disponibilità.