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Le interviste: Sebastiano Rizzo

Le interviste: Sebastiano Rizzo, regista di W MUOZZART!

W MUOZZART!, nuovo thriller/noir firmato da Sebastiano Rizzo, sarà al cinema dal 27 marzo, prodotto e distribuito dalla Draka Distribution di Corrado Azzollini e media partner TeleNorba.

Il film, interamente girato ed ambientato in Puglia, è stato presentato in anteprima mondiale la scorsa domenica 23 marzo all’AncheCinema di Bari, e ieri sera ha avuto la sua seconda proiezione (per pochi invitati scelti) presso il Cinema Madison di Roma, alla presenza del regista e del cast.

Noi di Almanacco Cinema abbiamo avuto la chance di incontrare il regista, Sebastiano Rizzo, davanti ad un caffè, per fare quattro chiacchiere sul suo Mozart e sul cinema italiano in generale, soprattutto parlando di progetti a basso budget come questo film, che – ci racconta – è stato realizzato in sole tre settimane.

Almanacco cinema presenta: l’intervista al regista Sebastiano Rizzo

Negli ultimi anni si sono moltiplicate le produzioni di film per cinema e televisione, che utilizzano le città e i paesaggi meridionali come scenografia. Cosa ne pensi del cinema prodotto nel Sud Italia?
Sebastiano Rizzo: “Sicuramente l’Italia è bella tutta, ovviamente la parte del sud ha mari e scenari straordinari: guarda la Calabria, la Puglia, la Sicilia… sono dei luoghi meravigliosi. Dunque, se vuoi raccontare un’Italia “calda” e “mediterranea”, i paesaggi del sud sono il set ideale”.
I tuoi film sono made in sud, prodotti dalla Puglia. A livello produttivo, quali credi siano state le maggiori produzioni, le più interessanti artisticamente parlando, nate in contesto pugliese?
S.R.: “Non saprei… Negli ultimi anni noi abbiamo fatto diversi progetti, tra cui un documentario sui teatri pugliesi (disponibile su Amazon Prime), dove viene raccontata un po’ la cultura italiana partendo dai teatri, a cominciare dalla Puglia.
Raccontiamo la differenza tra grandi teatri come il Piccinni di Bari e il Noicàttaro (provincia di Bari, ndr), che è una bomboniera, il teatro all’italiana più piccolo d’Europa”.

Negli ultimi anni sono aumentate, numericamente parlando, le co-produzioni Italia-Usa. Tu che ne pensi di questa “join venture”?

S.R.: “Sarebbe più bello se fossero ben distribuite… che arrivino società dall’estero a “gonfiare” le società italiane, che non ne hanno bisogno, implica “uccidere” i piccoli produttori.

Sarebbe stupendo se le società estere aiutassero i piccoli, che mediamente lavorano più sulla qualità rispetto ai grandi. Nel senso che una produzione indipendente utilizza il basso budget per raggiungere l’eccellenza: bravi attori, location mirate, lavorare bene sulla sceneggiatura, ecc.

Se i produttori esteri portassero fuori Italia questi prodotti, aumenterebbe la qualità e l’immagine del nostro Paese all’estero: se nel dopoguerra eravamo la terza potenza cinematografica e oggi non siamo nemmeno in lista, significa che da qualche parte abbiamo sbagliato!

Bisognerebbe tornare a lavorare sulla qualità e magari, sì, fare dei gemellaggi su queste produzioni medio-piccole con società americane o, in generale, straniere”.

Parlando di dopoguerra, sembra che a volte il cinema americano “racconta”, anche a livello visivo, un’Italia che non esiste più…

S.R.: “Personalmente ho seguito moltissime interviste, come quella a Scorsese, che dichiara di essere nato con Fellini e Pasolini, in cui i registi americani raccontano di essersi ispirati al nostro cinema… Anche se poi non è quello che fanno!

L’Italia che viene rappresentata non è quella di oggi, però…

S.R.: “Beh, ti racconto una cosa: anni fa andai in Canada, a Toronto, con un vecchio progetto, e rimasi spiazzato quando una signora mi disse: ‘Sebastiano, ma in Italia sono arrivati i telefoni cellulari? No, perché io mi ricordo le cabine con i gettoni…’.

L’Italia è sicuramente un Paese per certi versi rimasto indietro, a livello europeo, ma per i produttori americani il nostro Paese sembra effettivamente essersi fermato agli anni Settanta.

Per quanto riguarda le produzioni, le co produzioni con l’America si occupano soprattutto di fiction, oppure si tratta di storie classiche.

Sono pochi quelli che azzardano… se non c’è il dio denaro non si può ovviare a determinati obblighi distributivi, come ad esempio avere il famoso “nome” nel cast. E poi dove viene distribuito il film? In Italia funziona così: prima fallo, poi vediamo…

Si tratta di un problema insito in una piramide culturale sbagliata, da tanti punti di vista: non possono essere sempre gli stessi ad accedere ai finanziamenti. Ripeto, bisogna aiutare i piccoli produttori, che invece vengono additati come “il problema”, perché dicono che “si mangiano i soldi”.

Per W Muozzart! hai lavorato a basso budget. Quali sono i “nomi” che hai nel film?

S.R.: “Ci sono diversi attori importanti del contesto pugliese, come Dante Marmone (Don Nicola) e Michele Venitucci; e poi c’è Clara Ponsot, attrice francese pressoché sconosciuta in Italia, ma che ha già fatto diversi lavori importanti. E poi Ivano Picciallo, attore bravissimo – è stata una vera scoperta – Totò Onnis… insomma, nomi che forse, come dicono i giornalisti, “non associ alla faccia” ma che sono bravissimi, e se li vedi… beh, sai chi sono. Quindi magari sono più bravi loro delle solite facce che vedi in giro”.

Come li scegli i tuoi attori?

S.R.: “Io e Corrado Azzolini (produttore del gruppo Draka Cinema, ndr) lavoriamo molto sull’indovinare quanto più possibile il ruolo giusto per quel determinato attore. Non dovendo, appunto, avere obblighi di nomi di richiamo nel cast, siamo più liberi di selezionare attori bravi e giusti per i ruoli. Io posso vantare di aver sempre avuto attori bravi e vicini ai ruoli che interpretano, e che sono riuscito ad amalgamare bene.

Ovviamente, facciamo dei provini: in America anche gli attori importanti li fanno, non per vedere se sanno recitare, ma se sono giusti per il ruolo… Lo senti il personaggio? Proviamolo!

Parlando ancora una volta di Italia, tu che Italia racconti in questo film?

S.R.: “Dunque, questa è una storia di redenzione: il protagonista rientra in Italia, a casa sua, nel territorio pugliese, e vuole uscire dalla malavita. È andato all’estero, gli è nato un figlio e decide di uscire da questo giro… ma difficilmente riuscirà”.

Perché W Muozzart?

S.R.: “C’è una frase, ripetuta spesso nel film, di un autore francese: ‘In ognuno di noi… c’è un Mozart assassinato!’. Sappiamo che Mozart produsse la sua prima opera a cinque anni… un bambino a cinque anni non ha studiato, ha del genio in sé.

Dunque in questa frase, che il protagonista legge nei bagni, c’è questo significato: ognuno ha un potenziale in sé. Il punto è trovarlo e farlo fiorire. Purché non sia troppo tardi”.

Quale funzione ha il personaggio femminile nella storia?

S.R.: “È un po’ il contro-altare di lui: lei cerca l’amore, lui cerca la sopravvivenza… per casualità si incontrano in un auto-grill, a causa di una serie di coincidenze, lei buca la gomma dell’auto, lui le dà una mano e poi decide di accettare un passaggio da lei non potendo riprendere la sua macchina (lo stanno seguendo).

Lei è tornata al suo paesello per ritrovare un vecchio amore – ma non lo troverà mai – e lui cerca l’aiuto di qualcuno per vivere. Lei, francese, ama la musica di Mozart, che ascolta in macchina; lui è affascinato da questa frase, e sarà proprio lei a spiegargliene il significato profondo: ognuno di noi, dentro, ha un “Mozart”, un genio, che può svilupparsi in qualsiasi cosa, che si parli di un imprenditore, di un contadino o di un artista. Ognuno ha una possibilità, va solo trovata e gli va data vita”.

Essendo la storia ambientata in Puglia, lavori in italiano o in dialetto? Perché ormai sono tantissime le produzioni che puntano sul dialetto (vedi i vari Gomorra, Suburra, ecc.).

S.R.: “Beh, la protagonista è una francese originale: ha una forte cadenza, e funziona perché è vera, non potevo utilizzare un’italiana che fingesse di parlare francese… ho utilizzato una vera francese che fatica a parlare italiano, che è proprio ciò che volevo.

Per il resto lavoriamo in italiano, anche se ovviamente ci sono delle uscite in dialetto pugliese, perché raccontiamo dichiaratamente un ritorno in un paese della Puglia, Giovinazzo, e quindi alcuni personaggi (come il boss) hanno queste piccole sbavature con la cadenza pugliese”.

Sei favorevole all’utilizzo dei dialetti nel cinema?

S.R.: “Assolutamente sì! Ogni regione d’Italia ha dei dialetti straordinari! Ovviamente, è giusto che gli attori sappiano parlare in dizione, ma è altrettanto bello riuscire a mantenere le proprie origini. Se giro un film in Calabria, devo parlare in calabrese! È bello rappresentare, dal punto di vista paesaggistico, un luogo, e dunque parlare con la cadenza di quel luogo. Io manterrei sempre le origini e i dialetti di ogni regione”.

Tu ti definiresti un regista “di genere” o comunque c’è un genere cinematografico in particolare in cui ti rispecchi/esprimi al meglio? È ovvio che ami il crime…

S.R.: “Diciamo che questo film per me è stato importante farlo per chiudere una trilogia: io nasco con Nomi e cognomi (film del 2015 con Enrico Lo Verso, ndr), quindi ho girato Gramigna (2017), il mio “anti-Gomorra”, per cui sono entrato nella cinquina dei David di Donatello.

E questo è il terzo thriller della trilogia. Ora sto cercando di spostarmi su cose più leggere, ma sempre che abbiano un messaggio, una riflessione. Voglio dire, difficilmente mi vedrete fare il classico cinepanettone… Oddio, non si può mai dire! (ride, ndr). Vorrei semplicemente girare dei film che, anche se riguardati tra vent’anni, mostrino qualcosa su cui riflettere”.

C’è qualche regista in particolare cui ti ispiri?

S.R.: “No! Secondo me, sia in Italia che all’estero, ci sono un sacco di registi messi nel cosiddetto Olimpo secondo me sopravvalutati”.

Da attore, che approccio hai alla regia?

S.R.: “Beh, penso che sia una marcia in più, non credi? Voglio dire, qualsiasi regista che abbia fatto l’attore e che si trovi a dirigere degli attori, in qualche modo sa di cosa ha bisogno un attore, quali sono i suggerimenti giusti da dare… in passato, da attore, mi è capitato di stare nel limbo, di chiedermi ‘Sarà giusto quello che sto facendo?’, e questo ti frena.

Se il regista si mette a fianco dell’attore come se fosse un attore, sicuramente quell’interprete, se da solo rende il 60 per cento, ben guidato può arrivare a rendere il massimo… magari anche il 105 per cento! Il regista ti tira fuori quelle cose emotive che da solo non riusciresti a tirare fuori, anche perché il regista conosce bene tutte le situazioni, i personaggi e i legami tra i personaggi della storia, mentre il singolo attore non può sapere gli altri dove stanno andando e la testa del regista come ha pensato il tutto… se tu, attore, ti fai guidare, sicuramente rendi di più”.

Ultima domanda: abbiamo parlato del tuo rapporto con gli attori, ora ti chiedo di quella con la sceneggiatura… lo script di W Muozzart non è firmato da te ma da Beppe Cino…

S.R.: “La sceneggiatura è di colui che reputo uno dei pochi grandi Maestri rimasti nel Cinema. Beppe Cino, regista e sceneggiatore, per anni aiuto di Rossellini (che lo prese con sé), racconta che nelle tavolate cui prendeva parte sentiva i grandi del cinema parlare del loro prossimo film.

Beppe ha una mano straordinaria, e comunica splendidamente le sue emozioni: la storia era inizialmente ambientata nella sua Sicilia, poi abbiamo delocalizzato Muozart per portarlo in Puglia. C’è stato un adattamento scenico delle ambientazioni, alcuni accorpamenti di dialoghi e location.

Beppe e io abbiamo preparato il film assieme, ma lui ancora deve vederlo. Quindi o mi picchierà o mi abbraccerà, credo! Personalmente, spero di aver assorbito e trasmesso le tante cose che mi ha comunicato e che avrebbe voluto vedere sul set”.

Ringraziamo Sebastiano Rizzo per la disponibilità e per il tempo che ci ha dedicato.