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Cinema e IA, James Cameron prende posizione

La questione cinema e intelligenza artificiale è tra le più calde: a tale proposito, si è recentemente espresso anche il regista di Titanic, James Cameron.

Quando una tecnologia emergente viene introdotta per la prima volta al grande pubblico, è naturale che essa generi timori e resistenze. Tali reazioni derivano spesso dalla percezione di una minaccia all’ordine costituito, alla sicurezza lavorativa e alle modalità tradizionali di produzione e creazione.

L’intelligenza artificiale, oggi al centro di un acceso dibattito sociale e culturale, non fa eccezione. In particolare, la sua applicazione nel settore delle arti visive e dei media solleva interrogativi profondi su autenticità, diritti d’autore e occupazione. Eppure, non tutti gli attori di rilievo nel panorama cinematografico si pongono in una posizione di difesa.

James Cameron, celebre regista e pioniere tecnologico, ha scelto di adottare un approccio diametralmente opposto: non respingere, ma esplorare.

Il legame di James Cameron con l’intelligenza artificiale

Nel 2023, Cameron è entrato a far parte del consiglio di amministrazione della Stability AI, azienda all’avanguardia nello sviluppo di intelligenza artificiale generativa. La sua scelta, lungi dall’essere solo simbolica, si inserisce in una visione ben precisa: sfruttare l’AI non per sostituire la creatività umana, bensì per potenziarla, rendendo più snelli e accessibili i processi produttivi nel campo degli effetti visivi (VFX).

Durante un’intervista al podcast Boz to the Future, Cameron ha spiegato che uno degli obiettivi fondamentali del settore, oggi, è ridurre i costi senza sacrificare qualità o occupazione. La soluzione, secondo lui, risiede nell’aumentare l’efficienza operativa attraverso l’AI, velocizzando l’elaborazione delle singole scene e permettendo agli artisti di concentrarsi su progetti sempre nuovi e stimolanti.

L’intento non è, dunque, quello di licenziare il personale, ma di raddoppiare la produttività, mantenendo inalterato l’apporto umano e creativo. Questa visione si allinea con le dichiarazioni di Prem Akkaraju, CEO di Stability AI, che ha sottolineato come l’ingresso di Cameron rappresenti un’opportunità per trasformare radicalmente i media visivi, fornendo agli autori una piattaforma AI completa per concretizzare le proprie idee.

Dietro la decisione di James Cameron vi è anche una volontà di comprensione profonda del fenomeno tecnologico. Come ha spiegato lui stesso, il suo scopo era osservare dall’interno il funzionamento delle aziende che operano nel campo dell’AI, comprenderne i cicli di sviluppo e le risorse richieste. Il tutto in modo d valutare concretamente in che modo tali strumenti possano essere integrati nel flusso di lavoro cinematografico, soprattutto in ambiti tecnici come il rotoscoping (tecnica di animazione che consiste nel ricalcare fotogramma per fotogramma immagini girate dal vivo, ndr), l’upscaling (la conversione di un segnale video a risoluzione inferiore in un segnale 4K, ndr) o il cosiddetto outpainting (l’estensione dei confini di un’immagine, ndr).

Il regista, però, non crede che l’intelligenza artificiale debba ambire a sostituire l’opera cinematografica nella sua interezza. Secondo lui, l’apporto più utile dell’AI si colloca in compiti mirati, tecnici e specifici. In un panorama in cui l’attenzione si concentra spesso sulle potenziali violazioni del copyright e sull’uso improprio dei contenuti, James Cameron invita a ridimensionare le aspettative: le grandi aziende tecnologiche, come OpenAI o Meta, non hanno come obiettivo primario la produzione di film. Il cinema, da questo punto di vista, rappresenta solo una piccola nicchia rispetto agli interessi commerciali su scala globale. Per questo, ritiene più efficace collaborare con sviluppatori AI indipendenti in grado di rispondere in modo flessibile e mirato alle esigenze del settore cinematografico.

Queste le sue parole: “Guardate OpenAI: il loro obiettivo non è realizzare film generati dall’AI. Nel loro panorama, noi siamo solo una verruca sul loro didietro, in termini di scala. Vogliono creare prodotti divertenti per i consumatori, per 8 miliardi di persone, e sono certo che anche Meta abbia lo stesso approccio. Chiunque cerchi di conquistare quote di mercato in questo spazio, vede i film solo come una minuscola applicazione, un caso d’uso troppo piccolo. Ed è proprio questo il problema. Perciò sarà più utile puntare su piccoli gruppi di sviluppatori AI “boutique” con cui posso confrontarmi e dire: “Ehi, ho un problema, si chiama rotoscoping, oppure si chiama così o cosà, come posso fare l’‘outpainting’, l’‘upscaling’, o qualsiasi altra cosa sia necessaria in un flusso di lavoro già basato sulla computer grafica?”.

Com’è cambiato il punto di vista del regista

È interessante notare come questa posizione rappresenti un cambio di direzione significativo rispetto alle dichiarazioni di Cameron nel 2023, quando metteva in guardia contro la “militarizzazione dell’AI” e ne denunciava i pericoli sistemici. Già allora, però, riconosceva i limiti dell’intelligenza artificiale in termini di creatività autentica. La sua convinzione, infatti, è che una macchina, pur avanzata, non possa generare un’opera artistica capace di toccare realmente l’animo umano. Una “mente disincarnata”, che si limita a rielaborare concetti già espressi da altri, difficilmente potrà raccontare in modo originale esperienze profonde come l’amore, la paura o la morte.

Insomma: la visione di James Cameron sull’AI è lucida e pragmatica: non si tratta di una nemica dell’arte, ma uno strumento potenzialmente rivoluzionario, se usato con intelligenza e senso critico.

L’intelligenza artificiale, in quest’ottica, non cancella la creatività umana: la affianca, la sostiene e la amplifica. Il futuro dell’audiovisivo, dunque, non è nella sostituzione, ma nella collaborazione tra uomo e macchina.

Giulia Bucelli

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