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David Lynch

David Lynch? Per lui “il buio doveva essere ancora più buio”

In un’intervista a Variety i direttori della fotografia Frederick Elmes e Peter Deming, storici collaboratori di David Lynch, hanno raccontato il regista.

In occasione del Global Series Festival, in corso di svolgimento a Rimini e Riccione, sono intervenuti anche Frederick Elmes e Peter Deming, due direttori della fotografia che hanno collaborato molte volte con David Lynch.

Dopo la presentazione al festival dell’episodio pilota originale di Twin Peaks, la cui terza stagione è stata girata da Deming, i due cinematographer hanno rilanciato una lunga e interessante intervista a Variety, che riportiamo qui sotto.

A proposito di David Lynch: l’intervista a Frederick Elmes e Peter Deming

Abbiamo sentito parlare di un progetto incompiuto, Unapologetic Genius, su cui Lynch stava lavorando per Netflix al momento della sua morte. Potete dirci qualcosa a riguardo?

Peter Deming: “L’ho letto. Era molto simile al modo in cui aveva creato l’ultima stagione di Twin Peaks, ovvero come un film incredibilmente lungo, quasi 600 pagine. Mi ci sono voluti tre giorni per leggerlo e ne abbiamo discusso un po’. Abbiamo fatto un sopralluogo per scegliere una location, David aveva assunto uno scenografo e stava parlando con Laura [Dern] e Naomi [Watts] per dei ruoli, poi è arrivato il COVID. Da allora non se n’è fatto più nulla.

Ora, di recente, so che Jennifer [Lynch] e i figli stanno pensando di pubblicarlo come libro, perché credo che la discussione sia iniziata quando David ha cominciato ad avere problemi di salute e ci si è chiesti se sarebbe stato in grado di realizzarlo”.

Come sarebbe una sceneggiatura di David Lynch?

Frederick Elmes: “All’inizio, lavorare con David è stato un processo in evoluzione. Abbiamo frequentato insieme l’American Film Institute, e lì ha imparato a scrivere sceneggiature. Eraserhead di certo non rientrava in quel modello e ci volle molto tempo per ottenere l’approvazione della sceneggiatura all’AFI. Esisteva una versione breve del copione, poi si è espanso man mano che giravamo, diventando un film a sé stante.

Ma con Velluto blu e Cuore selvaggio, si trattava di sceneggiature formali, approvate tecnicamente, e siamo rimasti fedeli alla storia. David aggiungeva elementi affascinanti, ma mi è capitato recentemente di rileggere le prime pagine della sceneggiatura di Velluto blu e mi ha sorpreso il fatto che ciò che abbiamo fotografato era effettivamente scritto lì”.

Peter Deming: “Per quanto mi riguarda, le sceneggiature erano finite. Quello che mi colpiva era che davano pochissime informazioni. Ricordo scene di Strade perdute dove c’era scritto solo: ‘Interno casa suburbana, giorno’, e poi si passava direttamente ai dialoghi.

Nessuna descrizione dei personaggi. Siccome l’aveva scritta David, lui era già dentro tutto. Solo vedendo la scena capivi come illuminarla o come girarla. Più andavi avanti nelle riprese, più conoscevi i personaggi, i loro problemi e dove stava l’oscurità, e ti agganciavi a quello. E, tra l’altro, David sapeva già che musica avrebbe usato”.

Velluto blu di David Lynch

Quanto influiva David tecnicamente sul set? So che il suo bisogno di oscurità poteva creare problemi.

Frederick Elmes: “David sapeva molto bene cosa stava vedendo e come si sarebbe tradotto su pellicola. Poteva guardare dentro la macchina da presa e dire: “Sì, questo è il 35mm. È come me lo immaginavo. E mi piace la luce nella stanza.” Lo giudicava direttamente attraverso la camera. Usavamo questo piccolo vetro di contrasto per allenare l’occhio a vedere il rapporto di contrasto della pellicola.

Ogni tanto mi diceva di spegnere qualche luce, ma mai quale usare o come fare qualcosa. Questo lo lasciava completamente a me. Però diceva che il buio doveva essere ancora più buio. In Velluto blu, la prima volta che entriamo nell’appartamento di Dorothy è di giorno.

La scena notturna, quando Jeffrey entra di nascosto, David non voleva che si vedesse assolutamente nulla. Alla prima del film, nella sala del Directors Guild, gli ho detto: ‘David, non si vede niente. È troppo buio’. E lui: ‘Sì, è fantastico’. Ma poi, quando si accendono le luci, ottieni proprio l’effetto che cercava”.

Com’è un set di David Lynch?

Peter Deming: “Ogni giorno era un’avventura. Sapevi dove giravi e quali scene, ma oltre a quello, poteva succedere qualsiasi cosa, e dovevi essere pronto. All’inizio era terrificante, ma una volta accettato, diventava esaltante. Lui sa che, quando ti chiede qualcosa, farai del tuo meglio per realizzarla. E se non ci riesci, non cerca mai un colpevole. Finché sei sulla stessa lunghezza d’onda, ci si diverte”.

Frederick Elmes: “Sono d’accordo con Peter. È una questione di fiducia. Mi preparo il più possibile, ma so che qualcosa cambierà, succederà qualcosa di strano che nessuno ha ancora immaginato, e la scena prenderà una direzione diversa. Farò del mio meglio per affrontarla, perché David la sta inventando mentre la giriamo”.

Vi siete mai confrontati tra di voi?

Peter Deming: “No, mai fino a poco tempo fa. Negli ultimi cinque anni abbiamo iniziato a conoscerci davvero e ci siamo resi conto di quanto le nostre esperienze fossero simili. Se fossi andato da Fred a chiedere un consiglio, mi avrebbe detto: “Non so che dirti. Sii pronto a tutto”.

Frederick Elmes: “Ma è proprio questa la gioia di lavorare con David. Ogni giorno accadeva qualcosa di creativo, non sapevi cosa, ma era sicuramente una sfida, e molto probabilmente anche divertente”.

Oggi la sua reputazione è consolidata, ma ci sono stati momenti difficili nella ricezione dei suoi film. Lo influenzavano?

Frederick Elmes: “È successo in un arco di 40 anni, ma quei momenti alti sono stati davvero alti. E anche nei momenti bassi, oggi direi che quelle ‘valli’ iniziali sono diventate ‘vette’”.

Peter Deming: “Quando è uscito Mulholland Drive, è stato accolto da una certa parte di cinefili, ma cinque anni dopo, all’improvviso, tutti dicevano: ‘Ah, questo è davvero un capolavoro’. Fred e io l’abbiamo vissuto entrambi. David fa il miglior film che riesce a fare per sé stesso. Certo che vuole che piaccia e che la gente lo vada a vedere, ma non anticipa mai la reazione del pubblico mentre lo gira”.

Frederick Elmes: “Su Eraserhead, per quanto ci siano voluti anni, non ha mai dubitato che ci sarebbe stato un pubblico per quel film. Alcuni di noi non ne erano così sicuri, ma credevamo in lui e volevamo portarlo a termine”.

Com’era il rapporto di David con gli studios? Per Twin Peaks: The Return a un certo punto sembrava che non si sarebbe fatto.

Peter Deming: “Una volta che hanno definito il budget – e David è uno dei pochi che riesce a ottenere questo – aveva il controllo totale. Non hanno visto i giornalieri, non hanno visto i montaggi. Hanno letto la sceneggiatura, gli hanno dato i soldi e, quando lo show era finito, lui ha detto: ‘Ecco la serie’.

Nei miei anni con lui ci sono stati almeno sei progetti che sembravano sul punto di partire, e non ho mai saputo esattamente perché non siano andati avanti, ma so che la questione era il controllo. Se non ha il final cut, non lo fa”.

Pensate che dipenda in parte dal trauma di Dune?

Frederick Elmes: “Quella è stata un’esperienza negativa per lui. Lo studio gliel’ha tolto di mano e ha montato il film. Non è il suo film. Ma credo che la cosa risalga ancora più indietro: da pittore, sei tu che controlli la tela. Punto. E quando è finita, è finita”.

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