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Back To Black, il biopic su Amy Winehouse, la recensione
Back To Black (2024), diretto da Sam Taylor-Johnson e scritto da Matt Greenhalgh, è un intenso biopic che ripercorre i momenti più cupi e tragici della vita di una delle più grandi artiste del nostro tempo, Amy Winehouse, interpretata da Marisa Abela.
Dall’uscita del suo primo disco Frank, quando Amy aveva appena 18 anni, passando per l’inizio della relazione tormentata con l’ex marito Blake Fielder-Civil (Jack O’Connell) e la caduta nel vortice delle dipendenze, fino alla sua prematura scomparsa, il film segue gli eventi in maniera superficiale, senza rendere giustizia alla vita della cantante.
Back To Black, l’interpretazione di Abela
La sfida che l’attrice britannica Marisa Abela ha dovuto affrontare per interpretare questo ruolo, non era di certo semplice. Amy Winehouse è stata una delle personalità più singolari del mondo della musica contemporanea, sia per la sua personalità sia per il suo timbro vocale.
Nessuno quindi poteva pretendere da Abela una performance vocale che potesse rendere giustizia in pieno alla voce intensa e melanconica di Amy. Quello che non ha funzionato nella sua interpretazione è stata l’esasperazione della figura della cantante.
C’è l’immagine di Amy: il trucco, i look da pin-up e la capigliatura anni Sessanta, ma manca la profondità. La mimica è sopra le righe, così come l’accento marcato di Londra, e segue il cliché dell’artista tormentata e arrogante.
La rabbia, la passione viscerale per la musica, l’inquietudine amorosa e la lotta contro la dipendenza e la bulimia, emergono solo in parte. Abela offre al pubblico un’interpretazione quasi caricaturale e poco sfumata.
Ciò è dovuto in gran parte alle scelte registiche di Taylor-Johnson e alla sceneggiatura, che hanno delineato in maniera semplicistica i contorni della personalità di Amy, senza lasciare spazio a momenti introspettivi.
Back To Black, il problema del biopic
Questa semplificazione non riguarda solo il personaggio di Amy, ma investe anche gli eventi e i sentimenti, così come la rappresentazione dei personaggi maschili presenti nella vita dell’artista.
Papà Mitch (Eddie Marsan) viene rappresentato come un padre presente e amorevole, quasi compassionevole, sempre al fianco della figlia nelle situazioni più difficili. Nella realtà, Mitch Winehouse faceva parte di quella macchina economica che ha sfruttato l’artista anche nei momenti in cui era più debole, quando non era fisicamente e mentalmente in grado di continuare a lavorare, spingendola a salire sul palco e ad andare in scena, gettandola tra le fauci del pubblico e della stampa, che la deridevano e criticavano costantemente.
Anche il personaggio di Blake viene trattato con una certa indulgenza. Perde la carica negativa che, nei fatti, ha avuto nella vita di Amy, portandola sulla strada delle droghe e della dipendenza affettiva. Viene perdonato dalla scrittura del film che, in alcuni momenti, lo presenta quasi come una vittima della stessa Amy.
Un altro tema che Back To Black mostra ma a cui non dà il peso giusto, è quello dell’ossessione dei tabloid inglesi nei confronti di Amy. La cantante veniva derisa e umiliata quotidianamente dalla stampa, che assisteva al crollo fisico ed emotivo di Amy senza mai farsi da parte. Nella pellicola sono presenti orde di paparazzi fuori dalla sua casa o in giro per Camden Town, ma rimangono sempre sullo sfondo.
Queste caratteristiche sono comuni a moltissimi biopic usciti negli ultimi anni nelle sale cinematografiche, alcuni riusciti meglio di questo, altri altrettanto criticati.
La problematica principale che riguarda il racconto di una storia che dovrebbe celebrare un’artista, sta nell’impossibilità di restituire in maniera fedele il trascorso di questi personaggi, spesso molto complessi.
Naturalmente, la storia e la verità devono piegarsi alle regole narrative, ciò comporta sempre una falsificazione o un’ alterazione degli eventi.
Questo però non può essere la scusa per snaturare completamente un’artista, appiattendo la sua personalità, senza fornire il contesto necessario per comprendere appieno ciò che è accaduto. Elementi che sono ancora più importanti nel caso della storia di Amy, vista la sua tragica scomparsa a soli 27 anni.
Conclusioni
A distanza di 13 anni dalla morte dell’artista, Back To Black avrebbe potuto essere l’occasione di raccontare sotto una nuova luce la travagliata vita di Amy Winehouse, rendendo finalmente giustizia a una cantante che con la sua voce e il suo stile ha ispirato moltissime artiste venute dopo di lei, lasciando un’impronta indelebile nella storia della musica.
Purtroppo, non è stato questo il caso. Il film si perde nella narrazione superficiale degli eventi, raccontandoli senza anima e omettendo elementi molto importanti per comprendere l’anima fragile della cantante.
Se si vuole davvero approfondire la sua storia, piuttosto, vi consigliamo la visione del documentario Amy, the girl behind the name (2015), diretto dal premio oscar Asif Kapadia.