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Io sono: Céline Dion, una voce spezzata
Io sono: Céline Dion, è uno straziante documentario che racconta la rarissima malattia della famosa cantante e la causa scatenante, la sua voce.
Dopo 5 anni di assenza dal palcoscenico, lontana dal quel luogo dove si sentiva sicura e felice, Céline Dion decide di raccontare ciò che gli è capitato e gli sta capitando negli ultimi anni, attraverso un film-documentario. Io sono: Céline Dion è disponibile su Prime Video dal 25 giugno ed è diretto dal Irene Taylor, candidata all’Oscar per il cortometraggio The Final Inch.
Una trama leggera ma straziante
Il documentario è incentrato principalmente sul racconto, in prima persona della malattia della Dion, la sindrome della persona rigida, una rarissima malattia neuro-celebrale che porta a spasmi e rigidità muscolare. La cantante dichiara che ha nascosto il suo stato di salute per 18 anni, mentendo tante volte ai suoi fan, annullando concerti, in quanto i suoi sintomi partivano da quello strumento che l’ha resa un vero e proprio usignolo, la sua voce
Infatti in Céline, iniziò a percepire diversi difficoltà nel riscaldamento e nel toccare note alte della sua voce, e cercava di superare quei momenti con diversi farmaci, che l’aiutavano momentaneamente. Poi nel corso degli anni la situazione è sempre più peggiorata fino all’8 dicembre 2022, momento in cui, tramite un video, annuncia a tutto il mondo la sua diagnosi motivando la cancellazione dei suoi concerti.
Oggetto di Io sono: Céline Dion non è solo la malattia, ma viene mostrato anche il lato più intimo e privato di un’antidiva contraddistinta dalla spontaneità solare e dal suo essere decisamente down-to-Earth. Davanti alla cinepresa, la semplicità dell’abbigliamento e dell’acconciatura, l’assenza di trucco, la rinuncia a qualunque pennellata glamour rientrano dunque nell’ottica della confessione senza filtri, a tu per tu con il pubblico, di una star disposta a raccontarsi nei suoi momenti di suprema vulnerabilità.
Altissima carriera e poca vanità
Io sono: Céline Dion, anche se non è l’autocelebrazione di un’iconica star nel mondo della musica nazionale, riporta alcuni spezzoni della sua carriera e sei suoi concerti. River Deep, Mountain High, intensa cover del classico di Tina Turner; The Power of Love, già incisa nel decennio precedente da Jennifer Rush e Laura Branigan, ma resa ancor più popolare dalla versione pubblicata da Céline nel 1993; e ovviamente My Heart Will Go On, fenomeno planetario ancorato alla febbre collettiva per Titanic, ma qui relegata a una fugace parentesi.
La narrazione prosegue sul filo della storia della malattia intrecciata ai suoi momenti alti di carriera musicale e della sua vita privata, come la nascita dei suoi figli e la perdita del suo amato marito e compagno di vita.
In tutto il film, è forse l’indizio più emblematico della scarsa vanità della Dion: dedicare appena una manciata di secondi a una delle canzoni più famose e amate negli annali del pop, punta di diamante di una discografia ammantata di innumerevoli record, per lasciare invece molto più spazio all’ammirazione della Dion per la popstar australiana John Farnham e al loro duetto sul palco con la ballata You’re the Voice. Io sono: Céline Dion, insomma, è tutt’altro che una cronistoria sull”usignolo del Québec, ma piuttosto l’intimo ritratto di una fuoriclasse in una fase cruciale della propria vita e, di riflesso, della propria carriera.
Il senso di un’esistenza spezzata
Questo documentario riflette su una consapevolezza importante ma dolorosa: l’impossibilità di soddisfare quell’anelito di perfezione capace di dar senso a un’esistenza.
C’erano momenti in cui dovevo entrare in studio e sapevo che volevano Céline Dion,
Rivela la popstar canadese, oggi cinquantaseienne.
Ma chi è Céline Dion? È la migliore
Risponde la Dion, chiedendo implicitamente chi sia dunque Céline oggi, se non è più in grado di offrire quella perfezione che ci si attende da lei.
Una perfezione che, a partire dal suo esordio sulla scena del pop internazionale nel 1990 (ma due anni prima aveva già trionfato all’Eurovision Song Contest cantando in francese), l’ha portata a vendere duecento milioni di dischi e a imporsi come una delle più grandi interpreti di ogni epoca, con una potenza vocale paragonabile solo a quella di colleghe quali Barbara Streisand e Whitney Houston. Ma con un percorso anche psicoteraputico sta cercando di affrontare anche i dubbi sulla sua personalità ritrovando se stessa. (da qui probabilmente la scelta del titolo Io sono: Céline Dion)
Tuttavia, il film non si addentra nei territori del pietismo: gli sguardi velati di lacrime di Céline sono bilanciati dalle pennellate di autoironia, dalla verve innata, perfino dalle salutari concessioni alla frivolezza. Due esempi su tutti, l’irresistibile imitazione della collega Sia durante il talk-show di Jimmy Fallon e la scena incentrata sulla sua passione per le scarpe.
Di contro, la scelta della Dion di mettersi a nudo rispetto alla convivenza con la propria sindrome è esemplificata dalla sequenza in cui la popstar viene ripresa nel pieno di una crisi, con il corpo paralizzato dagli spasmi muscolari e il volto contratto in una smorfia di dolore: una cronaca in presa diretta, a cui saggiamente la Taylor non aggiunge alcuna enfasi ulteriore, lasciando che a parlare sia solo la brutale semplicità delle immagini.
Love again
In conclusione, Io sono: Céline Dion, non è solo un tributo affettuoso della sua protagonista, ma principalmente alla dedizione incrollabile nei confronti del pubblico. Quel pubblico verso il quale Céline spiega di sentirsi come un albero di mele, che un tempo abbondava di frutti ma ora è pieno di rami secchi; e a cui, nell’epilogo, promette che comunque troverà il modo di tornare in scena.
E quella voce, oggi più fragile e trattenuta rispetto alla Céline del passato, sembra lì a testimoniarlo: che si tratti di una nuova, difficile incisione (il brano Love Again), di frasi che confluiscono in versi di canzoni o della melodia accennata al termine di una crisi. A dar prova che, a dispetto delle difficoltà e della malattia, lei è ancora Céline Dion.