Skip to content Skip to footer
Perfect Days

Perfect Days, la recensione

Presentato a Cannes 2023, Perfect Days ci insegna a goderci il momento. In un mondo che pretende lo straordinario, Wim Wenders mostra la bellezza dell’ordinario.

Il cinema in genere è abituato a regalarci grandi storie. In effetti, molto spesso sono proprio gli intrecci e i colpi di scena a far sì che un film ci rimanga ben impresso nella mente. Ma cosa succede se la storia non esiste? Se il regista sceglie di mettere in scena la vita di un uomo nella sua quietissima e rilassante routine? Magari nasce un capolavoro come Perfect Days.

Perché il cinema assorbe e modella riuscendo a raccontare ogni cosa, basta solo un piccolissimo spicchio di sensibilità per esserne catturati.

Il lavoro di Wim Wenders in Perfect Days fa proprio questo, racconta le giornate tutte uguali di un uomo, di noi uomini, facendoci capire che ogni abitudine e ogni gesto compongono il significato stesso di una vita emozionante malgrado le apparenze.

Wenders, esponente di primo piano del nuovo cinema tedesco, già noto per pellicole come Alice nella città (1973), Il cielo sopra Berlino (1987), Paris, Texas (1984), sceglie il Giappone come set cinematografico del suo progetto. Il regista aveva già mostrato la sua passione per il paese girando il documentario Tokyo-Ga (1985).

Il protagonista e la colonna portante dell’intera pellicola è il personaggio di Hirayama, interpretato da un intensissimo Kōji Yakusho, che si aggiudica il premio per la migliore interpretazione maschile al Festival di Cannes.

Perfect Days, sinossi

Siamo a Tokyo, Hirayama è un uomo sulla sessantina che per vivere pulisce i bagni pubblici della città. La sveglia è alle 6, il protagonista si alza grazie ai colpi di scopa della sua vicina di casa. Va al lavandino, si lava i denti e si aggiusta la barba, riempie una brocca d’acqua ed innaffia le sue piante.

Esce di casa, respira profondamente e sorride al cielo ancora poco illuminato. Si dedica al lavoro con attenzione, pulisce ogni angolo, cura ogni dettaglio, usa uno specchietto per riuscire a vedere meglio le macchie che, sicuramente, non ha tralasciato. Scatta l’ora di pranzo, si siede su un tronco d’albero e con la sua analogica fa splendide foto alle piante.

Kōji Yakusho in una scena del film

E così le giornate si ripetono, in una splendida sequenza di scene che sembrano tutte uguali c’è sempre un dettaglio che regala nuova linfa alla routine di Hirayama. Dalle chiacchiere con il cameriere del suo solito ristorante, allo sguardo di una donna di passaggio, fino agli esilaranti scambi di battute con il suo insubordinato ma adorabile collega di lavoro.

Una critica velata alla modernità

Wim Wenders ci insegna a guardare i dettagli. Noi, così abituati alla velocità del cambiamento e dell’informazione siamo costretti a prendere coscienza del significato che hanno anche le piccole cose.

“Un’altra volta è un’altra volta, adesso è adesso”, questa la frase che Hirayama ripete a sua nipote Niko, questo il mantra che la pellicola trasmette. Hirayama vive in un mondo analogico, un mondo senza fretta, ma non per questo il suo modo di vivere è abulico. Wenders ci fa sperare in una realtà che connette felicità e normalità, dove non per forza la corsa al successo, la produttività forsennata e la ricerca dello straordinario sono la chiave del vivere sereni.

Il film sembra quasi condannare la modernità dei giorni nostri, dei telefoni, del suono, delle foto. Hirayama è l’unico che si gode la preparazione alla fruizione. Gli piace il suono più intenso delle musicassette, adora riavvolgere il nastro con cura, andare a ritirare le foto che la settimana prima ha portato a sviluppare, leggere i tascabili scegliendoli senza ricerca, ma con l’istinto.

Hirayama sorride alle persone che corrono attorno a lui, prese dalla vita, dal lavoro, dalla frenesia; pare quasi fermo in mezzo a loro, eppure, sembra abbia capito un segreto del quale nessuno è a conoscenza.

Recensione a quattro stelle su Almanacco Cinema