Anime nere, come fare un gangster movie in italia

 Anime nere ci dimostra come fare bene un gangster movie anche in Italia, col coraggio di parlare di una realtà criminale più forte di quanto possiamo pensare.

Il film del 2014, presentato alla 71ª mostra internazionale di Venezia ci racconta una di quelle storie silenziose, che di solito non vengono racccontate ma che rimangono lì. Tutti ne sanno, ma nessuno ne parla. Il regista Francesco Munzi riprende l’omonimo libro di Gioacchino Criaco. 

La trama

In Calabria, la vita è divisa tra due poli, un bivio che si ripresenta nella vita del giovane Leo, figlio di Luciano, interpretato da Fabrizio Ferracane, pastore e uomo di montagna, ma anche nipote di Rocco e Luigi, rispettivamente Peppino Mazzotta e Marco Leonardi, due malavitosi coinvolti in un giro di spaccio e affiliati all’ ‘ndrangheta.

Ben presto scopriremo il muro che separa questi due mondi e come questa frattura si rispecchi su Leo stesso, ancora adolescente, ma cresciuto in fretta ed anche estasiato dal culto della malavita, dei soldi falici e del potere, evocato dagli zii. Attraverso la storia di questa famiglia veniamo a conoscenza di faide, interne ed esterne, affari e giri loschi, che culmineranno in un climax di tensione che non può conoscere altro finale se non un finale distruttivo.

La storia di una famiglia

Lo schema di Anime nere è lo stesso prefissato già da altri gangster movie come Il padrino, raccontarci una storia di mafia ma presentandocela apparentemente come la storia di una famiglia e facendoci entrare così mano a mano nell’organizzazione criminale vera e propria, facendoci però anche familiarizzare in un certo senso con i personaggi e dimenticandoci quasi chi sono veramente. Anime nere segue questo modus operandi senza ricadere nel cliché ed appropriandosene facendolo suo.

Anime nere va oltre la famiglia e ci presenta una storia di folclore, perché questa è anche una storia di tradizione, una storis calabrese, che racconta questa bellissima terra in tutte le sue sfaccettature, dalle inquadratura sui paesaggi passando per le rocce e per il mare, le feste, il vino, le capre, le tarantelle e la tradizione, la tradizione che sta nel sud e nella famiglia.

Anime nere

Questa storia di tradizione e di folclore però, ci viene raccontata in tutto il suo fascino senza però scordarci che questa è anche una storia macchiata, purtroppo. Una storia di armi, droga, faide, potere e tradimenti. Una storia di onore e di orgoglio, un gioco pericoloso, fatto di ambizione e potere, che non vale mai la candela. Purtroppo, una storia che ci appartiene, a noi come popolo e come Italia, oltre la famiglia e il folclore.

Il tono dark e cupo del film si riflette in tutti i suoi aspetti, riuscendo perfettamente a rendere il declino e la distruzione, o meglio, l’autodistruzione di una famiglis, indotta da un mondo marcio, sporco, che il regista non ha paura di raccontare. Un gangster movie che raggiunge un altro livello di realismo, semplicemente attraverso una famiglia, attraverso il rapporto tra un padre ed un figlio, in conflitto, tra il mondo dei “caprari, che curano le capre e le mangiano per necessità, e il mondo della ‘ndrangheta, che le capre le uccide a sangue freddo per fare festa, senza pudore. Questa è la storia di anime nere e la dimostrazione che un gangster movie può essere fatto bene anche in Italia, senza paura, raccontando la realtà.

Filippo Maulicino

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