Skip to content Skip to footer
As bestas, la recensione su Almanacco Cinema

As bestas, la recensione: la violenza ancestrale dell’uomo

Un campo di battaglia dove dell’umanità non vi è più traccia. Con As bestas, Rodrigo Sorogoyen mette in campo la discordia.

Vincitore di nove Premi Goya e presentato fuori concorso a Cannes 75, As bestas (2022) di Rodrigo Sorogoyen mette in campo la violenza ancestrale, destando persino nello spettatore profondi dilemmi morali. Il timore del diverso è il collante di una storia vera nelle campagne galiziane. Il regista costruisce un racconto di violenza sottile e crescente, in cui il confine tra essere umano e bestia si dissolve.

As bestas, la trama

Antoine e Olga si sono trasferiti dalla Francia in un piccolo villaggio della campagna galiziana. L’uomo ha firmato contro la costruzione di pale eoliche, il che ha creato dei dissapori con Xan e Lorenzo, due fratelli originari del villaggio. Ma dietro l’attrito apparentemente economico, un conflitto ben peggiore si nasconde nell’odio dei due verso Antoine: quello identitario. Con il desiderio di vivere gli ultimi anni della loro vita in contatto con la natura, Antoine e Olga si ritroveranno vittime di un teatro spietato di discordia.

La Rapa das Bestas, dominio e sottomissione

Il film si apre con una sequenza in ralenti che intriga per la sua liricità. Come una coreografia, Sorogoyen mette in scena la Rapa das Bestas, tradizione che vede la dominanza dei cavalli selvaggi da parte dei locali. Questi ultimi li marchiano a mani nude, per poi lasciarli liberi. Questo rito folkloristico è solo incipit e lente del conflitto che si svilupperà nel corso del film. Un’iniziazione simbolica della lotta per il controllo e la dominazione, che fa comprendere come la violenza non sia innescata da un evento isolato, ma sia radicata nella cultura e nelle tradizioni.

As bestas, la recensione su Almanacco Cinema

Natura e isolamento, l’uomo solo nella terra

Il paesaggio galiziano bramato da Antoine e Olga è in realtà esso stesso antagonista. Le montagne sconfinate, la pioggia, l’atmosfera umida e fangosa sono terreno fertile della discordia. Parliamo di un Eden malevolo che dona i frutti della terra chiedendo però un sacrificio. Un po’ come l’Inferno impressionista ne La zona d’interesse. La campagna galiziana appare come un fantasma, un organismo fatiscente in cui i corpi dei personaggi si muovono come bestie condannate all’esilio, prive di vita.

As bestas, l’estetica

Il linguaggio estetico di As bestas ci parla di un primordiale che risale all’istinto animalesco di appartenenza. La fotografia fredda e organica di Alejandro de Pablo cristallizza il tempo lasciando allo spettatore uno spiraglio di accesso nei luoghi governati dal silenzio. Il richiamo musicale di Olivier Arson, composto da archi aspri e percussioni simil tribali, scrive una linea tensiva che Sorogoyen e la sua regia mantengono magistralmente in tutta la tragedia. Il paesaggio, sia visivo che sonoro, diventa in questo senso un finimondo in cui tutto si è distrutto, o è rimasto alle origini senza conoscere un’evoluzione.

Titan e la fedeltà cieca di un cane

Titan, il cane di Antoine, è la figura emblematica dell’ingenuità e l’innocenza cieca. Il cane non distingue il bene e il male, fidandosi indistintamente degli stessi carnefici del suo padrone. Egli agisce d’istinto e,  silenziosamente, è complice della tragedia senza comprenderlo. La fedeltà è il valore per eccellenza attribuito al cane come animale, ma in questo caso, sarà proprio questa, cieca, imparziale e pura, a essere strumento di brutalità.

La razionalità e l’umanità

Sorogoyen lascia che la violenza e l’odio fermentino nei personaggi, fino a diventare naturalmente inevitabile. L’ostilità è scritta negli sguardi e nei gesti. In questo spazio corrotto emergono due figure di donna, due madri opposte ma in un certo senso complementari. Olga, razionale, silenziosa e lucida, nonostante la tragedia. D’altra parte la madre dei due fratelli, immobile e muta, forse destinata a vivere la stessa solitudine di Olga. È un archetipo che sopravvive: quello della madre. Madre che custodisce anche la sofferenza inespressa, che è insieme resa e resistenza. In questo modo, ella rimane l’unica memoria spezzata del dolore subito per amore.

As bestas, in conclusione

As bestas è una tragedia preannunciata, urlata ma comunque muta. Sorogoyen mette in scena un microcosmo animalesco fermo alle origini, dove la violenza non è deviazione ma natura. In questo spazio chiuso, l’irrazionale detta legge e la civiltà si riduce a un’utopia. Sorogoyen crea una comunità corrotta in cui anche l’ingiustizia è consuetudine. Inoltre, egli non “offre” catarsi, ma lascia che lo spettatore stesso sia risucchiato in questo meccanismo autodeterminato, in una terra di mezzo in cui ogni uomo si riscopre una bestia tra le bestie.

Recensione a quattro stelle su Almanacco Cinema