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Chambre 999. I (forse) problemi del cinema contemporaneo
Chambre 999 di Lubna Playoust, documentario ispirato a Room 666 di Wim Wenders, pone ad importanti registi e registe la domanda: il cinema è destinato a morire?
L’eterno ritorno fra Wenders e Playoust
Ci troviamo a Cannes, durante la 75esima edizione del più importante festival di cinema del mondo, e in una camera d’hotel ogni regista, attualmente in attività nel cinema contemporaneo, è di fronte ad una telecamera fissa, dovendo rispondere alla domanda riportata qui sopra.
Le risposte a questo quesito sono state quasi tutte differenti. Molti registi, tra cui l’autore del documentario Room 666, si sono detti sconfortati, disillusi, rispetto a ciò che il cinema sarà. Tanti altri hanno invece cercato di essere vaghi, cercando di prendere di rilfesso la domanda, e altri invece fortemente ottimisti.
Le risposte di Diwan e Desplechin
Degne di nota sono state le risposte della regista e sceneggiatrice francese Audrey Diwan, Leone d’oro con L’Evenemènt, ed il regista e sceneggiatore francesce (forse un caso?) Arnaud Desplechin.
Importante mettere a confronto le due risposte, perchè una riflette il pessimismo della situazione cinematografica corrente e l’altra invece l’ottimismo.
La regista francese ha riflettuto, pensando alla quotidianità della figlia adolescente, come la nuova generazione possa trovarsi a suo agio rispetto al concetto stesso di cinema, e cioè l’aspettare il tempo per poter fruire di una narrativa (citando Tarkovskij: scolpire il tempo), rispetto invece a ciò che ogni giorno affrontiamo con gli smartphone, con l’assenza totale di un’attesa deltempo, e la risoluzione minima di un qualsiasi tipo di momento morto.
Reel
Facendo l’esempio dei Reels, la regista mette a confronto la dinamica narrativa del cinema rispetto a quella del social, dove nel reel quel qualcosa che vuole essere espresso non può esserlo fatto in un tempo ancora minore.
I tempi di narrazione del reel sono portati al minimo indispensabile, e funzionano appunto per questo. Nel cinema è invece il contrario, anche nel cinema contemporaneo. La cosa importante non è arrivare al concetto della storia, ma il tempo di narrazione che l’autore o l’autrice impiegano per poter sciogliere la matassa intorno al nucleo del cuore delle cose.
Invece Desplechin ha portato come esempio una piccola storia. E cioè che quando Ingmar Bergman iniziò a fare cinema, ha dichiarato diverse volte di essere una brutta copia di Victor Sjostrom, di come le sue stesse opere potessero solamente riprendere un qualcosa che già era stato espresso dal suo maestro. Continuando la storia, Woody Allen dichiarò le stesse cose ma invece riguardo Bergman, e continuando ancora lo stesso Desplechin riguardo Allen.
Morale della favola: forse è vero che il cinema muore decade dopo decade, ma questa morte è necessaria per poter far sì che il cinema continui a vivere ogni volta in forma diversa.
Le idee ci sono
Ciò che si percepisce alla fine del documentario, rispetto alle risposte generali dei registi e delle registe, è che il problema di fondo nel cinema contemporaneo non risiede nella mancanza di idee, narrazione malinconica e retorica che si ascolta molto spesso, ma dei nuovi problemi che si stanno ponendo distributori e produttori rispetto a ciò che il mercato vuole, volendo saziare bocche affamate di Reels e Stories.