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Death of a Unicorn, la critica politica di un film popolare
Death of a Unicorn potrebbe essere un horror di serie B costato 15 milioni di dollari, in realtà si rivela una feroce critica alla deriva del capitalismo.
Se ci soffermassimo semplicemente sull’idea e sulla trama ci potrebbe tornare alla mente qualche pellicola della Troma, la celebre casa di produzione indipendente che ci ha regalato diverse meravigliose produzioni di serie B. Film del calibro di Il vendicatore tossico (Lloyd Kaufman e Michael Herz, 1984) o Tromeo and Juliet (James Gunn, 1996), avevano dalla loro parte delle idee e un’inventiva non da poco. Nonostante il budget ridotto all’osso, questi film riuscivano comunque a diventare dei piccoli cult per gli amanti del genere.
Death of a Unicorn sembrerebbe proprio un esperimento di serie B fatto però con 15 milioni di dollari (cifra comunque irrisoria per gli standard americani ma molto più elevata dei costi della Troma) che riesce però a rivolgersi al grande pubblico.
Le idee non mancano ma il risultato finale sarà stato all’altezza? Vediamolo con calma.
Death of a Unicorn, la trama
Un padre e una figlia, Elliot e Ridley, si stanno dirigendo verso la casa nel bosco dell’amministratore delegato di una gigantesca casa farmaceutica. A causa di un tumore al colon, quest’ultimo si trova costretto a rivedere il consiglio di amministrazione ed Elliot potrebbe essere uno dei favoriti per il suo duro lavoro e l’impegno dimostrato. Durante il tragitto i due investono accidentalmente un animale e si accorgono che si tratta di un unicorno.
Lo portano alla villa e presto si rendono conto che il sangue dell’animale ha delle proprietà benefiche. Infatti, dopo esserne entrati in contatto tutti cominciano a sentirsi meglio e a guarire dalle loro malattie, tumore al colon compreso. Il miliardario inizia subito a sfruttare il piccolo tesoro che gli è capitato in casa e decide di vendere ai facoltosi di tutto il mondo il magico siero dell’immortalità. Solamente Ridley cerca inutilmente di mettere tutti in guardia, è probabile infatti che il piccolo unicorno abbia dei genitori che non saranno contenti di vedere il loro cucciolo in quelle condizioni.
Scoperte scientifiche vs capitalismo
Le leggi della natura impongono che, a prescindere dalle condizioni economiche, davanti a lei siamo tutti uguali. Un miliardario muore come tutti noi e non ha la possibilità (per fortuna) di pagare per vivere più a lungo, anche se può farlo per avere cure migliori e più veloci. Death of a Unicorn almeno nella prima parte si interroga proprio su questa eventualità. Un miliardario scopre la cura per il cancro e per tutte le altre malattie incurabili e cosa fa come prima cosa? Telefona agli ospiti del convegno di Davos per vendere il segreto a cifre da capogiro.
Il suo primo pensiero è sempre al profitto, non alla sanità pubblica né tantomeno alla collettività. L’obiettivo è fare ancora più soldi che si possono ottenere solo vendendo questa scoperta a chi ne ha tanti e non ai poveracci che faticano ad arrivare alla fine del mese, quelli possono crepare quando vogliono.
I miliardari nella villa mettono in atto un vero e proprio meccanismo di abuso e sfruttamento totale della scoperta che hanno in casa. Essi cercano di assimilare l’animale e le sue proprietà in tutti i modi possibili e immaginabili: mangiando hamburger di unicorno, sniffando la polvere ottenuta proprio dal suo corno e fumandosela con un bong. Gli ammonimenti di Ridley non vengono ovviamente ascoltati perché l’interesse economico è troppo grande e il tutto finisce quindi in una carneficina.
L’unicorno unico giudice dell’umanità
Se la prima parte del film è sviluppata in modo veramente interessante e coinvolgente, la seconda cade troppo velocemente nel cliché classico del monster movie. Dal momento in cui arrivano i due unicorni giganti inizia una fuga disperata, all’interno e all’esterno dell’abitazione, che porterà a uno spargimento di sangue non indifferente, anche con una coraggiosa dose di splatter.
Di fronte a eventi del genere, a dei miliardari che sfruttano e vendono una cura che dovrebbe essere universale e gratuita, si rende necessario un giudice imparziale che conosca la verità e agisca di conseguenza. Questo concetto quasi religioso è rappresentato proprio dall’unicorno, che da essere onnisciente e giusto decide chi deve morire e chi invece deve sopravvivere perché buono e puro. Si tratta di un altro concetto interessante di questa particolare pellicola.
Death of a Unicorn, in conclusione
Infine, il film di Alex Scharfman si rivela un esperimento in parte riuscito, resta da vedere quanto successo avrà al botteghino. Ottima la prima parte ma troppo banale e già vista la seconda. Il tema trattato è comunque attuale e, anzi, andrebbe approfondito ancora di più anche da altri film.
Sicuramente un prodotto da vedere, con l’aspettativa di ragionare nella prima metà e divertirsi nella seconda.