Drive My Car si presenta al pubblico come un film rivoluzionario, capace di rendere trasparente e tangibile la fin troppo sfuggente esperienza umana.
Presentato nel 2021 al 74° Festival di Cannes e divenuto rapidamente un fenomeno mediatico su larga scala, Drive My Car, nato dalla penna del celebre scrittore Haruki Murakami e trasformato in film dal cineasta Ryūsuke Hamaguchi offre uno sguardo critico sui moti della vita.
Il lungometraggio è stato accolto a braccia aperte tanto dai giudici del festival, quanto da critica e pubblico, ottenendo risultati straordinari. Drive My Car, infatti, ha vinto un Oscar e un Golden Globe, rispettivamente per le categorie di miglior film internazionale e Miglior film in lingua straniera.
Oltre ai premi materiali, Drive My Car di Hamaguchi è stato in grado di vincere il cuore dei fan di tutto il mondo grazie alla sua profonda sensibilità umana, tema strutturale dell’opera, che scava negli abissi più reconditi delle sensazioni e dell’esistenzialismo dei rapporti con il proprio sé e con il sé degli altri.
Drive My Car, la trama
Drive My Car segue la vita di Yūsuke Kafuku, un attore e regista teatrale abbastanza rinomato e di sua moglie Oto, che lavora come sceneggiatrice. Il loro rapporto, a primo impatto normalissimo anche se un po’ logorato dal tempo, si dimostra molto particolare: Oto concepisce le scene che scrive solo durante il momento del coito e successivamente le racconta a Yūsuke, il quale le sviluppa sotto forma di spettacoli teatrali.
Questa svolta mette in luce la vera natura del rapporto tra i due coniugi che, ormai da tempo, sembrano sempre più lontani l’uno dall’altra, chiusi in una bolla di solitudine da cui è sempre più difficile scappare. I due non riescono a comunicare con nulla se non con il sesso e con le storie partorite dalla mente di Oto, elemento che dimostra l’enorme inadeguatezza dei personaggi.
Dopo aver visto il marito esibirsi nella rappresentazione dell’opera teatrale di Samuel Beckett Aspettando Godot, Oto decide di presentargli un suo collega di lavoro, un ragazzo giovane, a modo ed evidentemente ancora acerbo di nome Kōji Takatsuki. Un giorno Yūsuke decide di tornare a casa prima e trova sua moglie Oto a letto con il giovane Kōji. Yūsuke, seppur amareggiato, non dice nulla ed esce di casa senza farsi notare dai due.
Da quel momento Yūsuke inizia ancor di più a chiudersi in se stesso, abbandonando ogni possibilità di comunicazione con la moglie. Un giorno in seguito a quell’evento Oto chiede a Yūsuke di incontrarsi la sera e parlare, richiesta che Yūsuke non rifiuta. Nonostante Yūsuke abbia accettato di vederla, quella sera, soprattutto a causa del lavoro, decide di tornare a casa tardi e di affrontare il discorso nella maniera più veloce possibile.
Le preghiere di Yūsuke vengono ascoltate: il discorso non ha neanche la possibilità di iniziare poiché al suo ritorno a casa Oto è deceduta. Viene rivelato più tardi che la causa della morte della moglie è un emorragia cerebrale. Il dolore per la morte della moglie è dolorosissimo da sopportare per Yūsuke, il quale finisce ancor di più per isolarsi e allontanarsi dalle persone e, per un po’, anche dal suo amato teatro.
Alcuni anni dopo Yūsuke si trasferisce ad Hiroshima al fine di girare un adattamento multilingue dell’opera Zio Vanja dello scrittore russo Checov. Per la parte di Varja Yūsuke decide di prendere Kōji, il quale, a causa della sua pessima condotta e della strada disastrosa che ha deciso di intraprendere nella vita, non gode di una buona reputazione come attore.
La compagnia teatrale che ha affidato a Yūsuke l’incarico richiede che, per motivi di sicurezza, quest’ultimo non guidi, una richiesta alla quale il regista inizialmente si oppone, ma che successivamente si vede costretto ad accettare, soprattutto una volta constatata la bravura della sua giovane e timida autista di nome Misaki Watari. La macchina messa a disposizione dei due è di proprietà di Yūsuke e si tratta di una Saab 900 Turbo rossa della fine degli anni 80’, che, grazie alle locandine e alle foto promozionali, nonché anche grazie al titolo stesso del film, diverrà la caratteristica più distintiva del film.
I due personaggi all’interno della Saab rossa, a causa di tutto il tempo che si vedono costretti a passare insieme, iniziano a legare profondamente e iniziano a costruire un rapporto di fiducia reciproca basata sulla capacità di esternare i loro traumi a qualcuno di diverso da loro stessi. Inconsciamente questo sprona Yūsuke a parlare con Kōji, l’amante dell’ormai defunta moglie, per riuscire, una volta per tutte, ad affrontare la moglie, anche ora che, con infinita amarezza, ricorda e basta.
Kōji racconta a Yūsuke molte cose riguardanti la sua relazione con Oto e riguardanti la persona che Oto si è dimostrata agli occhi di Kōji e i due finiscono con lo scambiarsi vari consigli e le vari opinioni che hanno sull’altro. Da questo momento in poi, il rapporto tra Yūsuke e Kōji sembra risanarsi, ma il rapporto con Kōji e se stesso inizia a deteriorarsi, culminando nel suo arresto con l’accusa di assalto seguito da omicidio ai danni di un fotografo, evento che costringerà Yūsuke a prendere una decisione importante.
Nella Saab rossa, nel frattempo, Yūsuke e Misaki si raccontano il loro trascorso e il loro passato traumatico. Durante il dialogo, si viene a scoprire che Yūsuke è sempre stato al corrente dei numerosi tradimenti di Oto e che Misaki ha perso la mamma, una persona abusiva e violenta, a causa di una frana.
Di ritorno dal loro viaggio in macchina, Yūsuke viene avvisato che Kōji è stato arrestato con l’accusa di omicidio e che ci sarà bisogno di un nuovo attore che ricopra il ruolo principale di Vanja. Yūsuke chiede alla compagnia del tempo per pensare, richiesta che viene accolta a condizione che lo faccia in poco tempo, massimo due giorni. Inizia così l’ultimo viaggio di Yūsuke e Misaki.
Yūsuke chiede a Misaki di accompagnarlo nei pressi della sua vecchia casa, sita nella regione dell’Hokkaido. Una volta giunti, i due iniziano ad aprirsi e a confessare che tutto ciò che provano quando si imbattono in un ricordo del passato è il fattore che gli impedisce di vivere con uno sguardo sul futuro. In uno dei momenti più belli della pellicola, i due iniziano a confortarsi a vicenda, dimostrando l’importanza della vita, ma soprattutto, l’importanza di una vita diversa nella stessa vita. Tornati dalla compagnia, Yūsuke comunica che sarà lui stesso a prendere il posto di Kōji nella rappresentazione.
Drive My Car è un film complesso e intricato, molto profondo e pregno della tristezza nostalgica di una felicità che è ancora da sperimentare. Nella creazione del copione di questo film, il regista si è liberamente ispirato alla raccolta di racconti del 2014 dal titolo Uomini senza donne scritta dallo scrittore giapponese Haruki Murakami, senza però sacrificare l’originalità della propria scrittura.
Il film, infatti, differisce molto dal racconto, tuttavia senza minare le fondamenta del racconto e senza compromettere la propria essenza. I personaggi principali di Drive My Car sono afflitti da una profonda piaga esistenziale che sembra seguirli come un’antica maledizione: non riescono a comprendere l’essenza degli altri, non percepiscono quanto anche gli altri personaggi siano umani e, di riflesso, non riescono a comprendere sé stessi.
Tale sentimento traspare evidentemente dal senso di solitudine che permea le relazioni e i rapporti tra i vari personaggi, in special modo tra Oto, Yūsuke e Kōji, i quali finiscono per ferire gli altri o, nel caso di Kōji, per autodistruggersi. L’assenza del narratore fa ricadere il compito della comprensione sullo spettatore che, se non presta particolare attenzione, potrebbe perdere passaggi rilevanti e fondamentali alla comprensione dell’opera.
La maledizione dei personaggi sembra spezzarsi solo attraverso la presenza della Saab rossa, per molti la vera protagonista della storia. La macchina dentro la quale si trovano Yūsuke e Misaki funge da allegoria per comprendere il viaggio nella stessa direzione che i due personaggi devono compiere per poter andare avanti. La timida guidatrice e il registra affranto dalla morte si rendono conto che non sono soli a vivere la vita e che, nonostante le differenze, le difficoltà e le macchie dello spirito date da un passato color rosso sangue sono presenti sopra la trasparenza di ogni anima.
Il viaggio che intraprendono, in special modo quello nell’Hokkaido, serve ai due per capire che solo attraverso la trasparenza si può andare avanti, non erigendo scudi. Il viaggio in macchina diviene così un viaggio nella mente con il solo obiettivo di riuscire a vedere il tramonto oltre l’albero sulla scogliera, con il solo obiettivo di riuscire a vedere sé stessi negli occhi degli altri.
Il compito di ristrutturazione del proprio io si prospetta arduo e faticoso, ma grazie all’aiuto di Misaki, Yūsuke “andrà altrove”. Lo stesso succederà alla donna,attraverso i loro viaggi personali di espiazione e guarigione, i quali sono magistralmente strutturati e rappresentati nell’essenza di Drive My Car e nella forma, nell’interpretazione e nel cuore degli attori.
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