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Drop, ovvero quando il killer lo ordini su Wish
Drop – Accetta o rifiuta è l’ultimo film targato Blumhouse ma se le premesse erano interessanti, il risultato finale purtroppo non è quello sperato.
Da Speed (Jan De Bont, 1994) a Desconocido – Resa dei conti (Dani De La Torre, 2015), passando per Die Hard 3 (John McTiernan, 1995) e numerose altre pellicole, il tema dell’ostaggio che deve fare qualcosa di terribile per salvare delle persone in pericolo non è nuovo.
Anche Drop – accetta o rifiuta segue questo canovaccio di partenza e l’idea che sta alla base non è affatto male. Il problema è proprio il limitarsi alla parte iniziale, dato che lo sviluppo e soprattutto il finale è roba da mettersi le mani nei capelli. Il segreto infatti, in pellicole di questo tipo, è proprio riuscire a mantenere la tensione per tutta la durata del film con delle svolte narrative posizionate in momenti strategici del racconto ma soprattutto rendere credibile la soluzione finale.
Drop ci sarà riuscito? Immaginerete già la risposta ma vediamo con calma il perché.
Drop, la trama
Una donna, rimasta vedova da qualche anno di un marito violento, è pronta a dare una svolta alla sua vita e si prepara a un nuovo primo appuntamento con un uomo conosciuto da poco. Dopo aver lasciato il figlio a casa con la zia si dirige al luogo dell’appuntamento. A un certo punto della serata lei riceve un drop sul cellulare. Dopo averlo accettato si rende conto che qualcuno, all’interno della sala, la sta controllando e soprattutto che c’è un killer a casa sua pronto a ucciderle il figlio se lei non esegue gli ordini che le vengono impartiti.
La richiesta che le viene fatta è molto semplice: uccidere l’uomo con cui è a cena.
La struttura narrativa
Come ho già detto, l’idea di base seppur già vista non è così male. La prima parte funziona abbastanza ma è dalla metà del film in poi che tutto degenera, fino ad arrivare al delirante finale. Durante la primo ora del film le svolte narrative funzionano e rendono scorrevole e abbastanza coinvolgente la visione.
Premesso che nemmeno la CIA sarebbe stata in grado di allestire un set con microfoni e videocamere come invece fanno i cattivi del film, va detto che la presentazione dell’ambiente, ossia il ristorante, e dei personaggi al suo interno non è delle migliori. La protagonista, mentre aspetta il suo partner, interagisce con tre persone di cui una è talmente stupida che non potrebbe mai essere un criminale. Non serve quindi Sherlock Holmes per dedurre chi sia il colpevole tra le altre due.
Una volta uscito allo scoperto il malvivente, i personaggi iniziano inspiegabilmente a comportarsi nel modo più idiota possibile e il finale diventa prevedibilissimo. La protagonista si trasforma in John Wick al femminile: più astuta dei suoi aguzzini, abilissima nella guida spericolata e quasi una maestra di arti marziali con una soglia del dolore incredibilmente alta.
In particolare, il killer che si trova a casa della donna è l’assassino più scemo e incapace che mi sia mai capitato di vedere in un film. Non è in grado di uccidere una persona priva di sensi sparandole da un metro di distanza e neppure di tener testa a due signore indifese e a un bambino di 5 o 6 anni che anzi, in una scena ai livelli di Mamma ho perso l’aereo (Chris Columbus, 1990), risolve tutto senza problemi.
Chi ha parlato di tensione alla Hitchcock è bene che che corra a riguardarsi qualche film del maestro, si renderà immediatamente conto della sciocchezza detta.

Drop, in conclusione
Infine, se l’obbiettivo è farsi delle grosse risate e imparare come non si gira un thriller, allora Drop è il film che fa per voi. Se, al contrario, siete interessati a seguire una storia solida, tesa e un minimo verosimile è meglio che andiate a noleggiarvi un noir di Fritz Lang.
Possibilmente da evitare.