Festa del Cinema di Roma: La casa degli sguardi, la recensione

La casa degli sguardi, film drammatico che segna l’esordio alla regia di Luca Zingaretti, è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma.

La casa degli sguardi è un’opera cinematografica diretta da Luca Zingaretti, un attore noto per le sue interpretazioni di grande intensità, che per la prima volta si cimenta con la regia in un film drammatico.

Questo progetto segna un importante passo nella sua carriera, dopo aver già realizzato due documentari di successo: Gulu nel 2003 e Conversazioni con Suso nel 2007. La sua transizione verso la regia narrativa evidenzia un’ulteriore dimensione della sua creatività artistica.

La sceneggiatura di La Casa degli Sguardi è frutto di un lavoro collaborativo tra Zingaretti e un team di talentuosi scrittori, tra cui Gloria Malatesta, Stefano Rulli e Daniele Mencarelli.

Quest’ultimo ha adattato la storia dal suo romanzo La casa degli sguardi, pubblicato nel 2018, trasformando le pagine scritte in una narrazione visiva.

Il cast principale è composto da attori emergenti e affermati, tra cui Gianmarco Franchini, Federico Tocci, Riccardo Lai, Alessio Moneta, Chiara Celotto, Marco Felli, Cristian Di Sante e lo stesso Luca Zingaretti.

La trama

La Casa degli Sguardi ci immerge nella vita di Marco, un giovane di 23 anni che vive con il padre dopo aver affrontato la devastante perdita della madre. Questo dramma familiare segna profondamente la sua esistenza, rendendo Marco un ragazzo particolarmente vulnerabile e sensibile.

Marco si trova intrappolato in una spirale di dipendenza dall’alcol, un problema che cresce inesorabilmente giorno dopo giorno. La sua vita è una lotta continua contro l’angoscia e il dolore che lo avvolgono, e in questo contesto, l’alcol diventa il suo unico rifugio.

Nonostante il suo talento nel comporre poesie, che rappresentano un modo per esprimere le sue emozioni e la sua visione del mondo, la sua creatività è soffocata dalla tossicità della sua vita quotidiana. Ogni bicchiere è un tentativo disperato di alleviare un peso che sembra insopportabile.

Le sue scelte autodistruttive lo allontanano progressivamente da amici e dalla fidanzata. Le persone che lo circondano provano a tendergli la mano, ma Marco si sente sempre più isolato, come se un muro invisibile si fosse eretto tra lui e il resto del mondo. L’unico sostegno che riesce a trovare è in suo padre, un uomo altrettanto in crisi, che cerca di accompagnarlo in questo cammino oscuro, ma si sente sempre più frustrato e impotente davanti alla realtà della dipendenza del figlio.

Quando un’opportunità di lavoro si presenta sotto forma di un impiego nella cooperativa di pulizie dell’ospedale Bambin Gesù, Marco decide di accettare. Tuttavia, dentro di lui serpeggia una paura profonda: il pensiero di dover interagire con bambini malati lo terrorizza. È convinto che il dolore e la sofferenza che li circondano possano essere un colpo fatale per lui, già così fragile.

Ma proprio in questo nuovo contesto, Marco potrebbe scoprire non solo un nuovo scopo, ma anche la forza per affrontare le sue demoni interiori. La sua storia diventa un viaggio di ricerca e redenzione, un’opportunità per ricostruire legami e riconciliarsi con se stesso e con il passato.

Le ottime premesse

La storia di Marco si rivela straordinariamente interessante e complessa, rappresentando un viaggio emotivo profondo e straziante. Dopo la devastante perdita della madre, Marco si ritrova in una spirale discendente, in cui ogni certezza sembra sgretolarsi sotto il peso del dolore. Cede, quindi, a una vita di eccessi, abbandonandosi all’alcol come se fosse l’unico rimedio per anestetizzare la sua angoscia.
La sua esistenza si trasforma in un susseguirsi di giorni privi di significato, in cui il conforto sembra un’illusione irraggiungibile. Marco vive un sentimento di inadeguatezza che lo accompagna costantemente, rendendolo incapace di affrontare il mondo che lo circonda.

L’arrivo di un’opportunità di lavoro offre a Marco una chance di riscatto, un barlume di speranza in un’esistenza altrimenti buia. Questa nuova occupazione rappresenta per lui non solo un modo per guadagnarsi da vivere, ma anche una possibilità di rinascita, un’occasione per rimettersi in gioco con uno sguardo nuovo e una prospettiva differente. Marco potrebbe finalmente iniziare a costruire una vita che, sebbene segnata dal dolore, possa includere la speranza e la possibilità di guarigione.

La potenzialità di una narrazione che esplora la lotta contro la dipendenza e il dolore è evidente, ma non viene sempre sfruttata al meglio.

Così, ci si ritrova a desiderare un approfondimento che possa dare voce alle sue paure, alle sue speranze e ai suoi sogni, trasformando una storia già affascinante in un’esperienza veramente coinvolgente e memorabile.

Una narrazione superficiale

Ne La casa degli sguardi, nonostante le premesse promettenti per un racconto davvero toccante e profondo, la narrazione a volte appare lenta e poco incisiva. La complessità del mondo interiore di Marco, intriso di sfumature e contraddizioni, viene rappresentata in modo piuttosto limitato. Le emozioni che lo attraversano, intense e tumultuose, non riescono sempre a emergere con la forza e l’impatto desiderati, rendendo difficile per lo spettatore stabilire un legame profondo con il suo percorso di vita.

Questa mancanza di una piena esplorazione dei suoi conflitti interiori e delle sue esperienze più intime riduce l’efficacia della storia, lasciando il pubblico con la sensazione che ci siano ancora molte sfide da affrontare e molte emozioni da esprimere. Questi sentimenti, cruciali per comprendere veramente il suo viaggio, rimangono spesso celati sotto una superficie che non riesce a rivelare appieno la ricchezza del suo universo emotivo.

In questo modo, lo spettatore può sentirsi come un osservatore esterno, incapace di immergersi completamente nella tumultuosa realtà di Marco.

Nel film una delle lacune più evidenti è la mancanza di approfondimenti sui personaggi e sulle loro dinamiche, sia interne che esterne. Anche se alcune emozioni del protagonista, Marco, riescono a trasparire dai suoi sguardi penetranti, la sceneggiatura sembra non riuscire a penetrare davvero nell’essenza delle sue esperienze.

Questa superficialità nella narrazione si traduce in una difficoltà nel cogliere le motivazioni profonde e i vissuti che guidano Marco e gli altri personaggi lungo il loro cammino.

Gli eventi che si susseguono nel film sono frequentemente trattati in modo superficiale, senza un’adeguata analisi delle cause e degli effetti che questi hanno sui protagonisti. Si ha l’impressione che le situazioni si sviluppino senza un vero legame con le emozioni che dovrebbero accompagnarle, lasciando il pubblico con una sensazione di incompiutezza e frustrazione.

Le reazioni dei personaggi, infatti, appaiono a volte poco giustificate, come se non avessero la possibilità di esplorare a fondo le complessità delle proprie vite e delle relazioni che li uniscono. Questa rappresentazione limitata contribuisce a creare un distacco tra lo spettatore e le esperienze emotive del film, rendendo difficile identificarsi con le sfide e le sofferenze dei protagonisti.

Da un romanzo così ricco di emozioni e di spessore come quello da cui è tratto il film, ci si sarebbe potuti aspettare un adattamento altrettanto coinvolgente e profondo. Invece, il lungometraggio si presenta come un’opera che, pur avendo momenti di grande potenzialità, non riesce a raggiungere il livello di intensità e densità emotiva che il materiale originale suggerirebbe.

Questo lascia lo spettatore con la sensazione di un’occasione mancata, di una storia che avrebbe potuto toccare corde molto più profonde ma che, per vari motivi, si è limitata a sfiorare la superficie di temi complessi e universali.

In tal modo, il film rischia di perdere la sua capacità di coinvolgere e di provocare riflessioni significative, lasciando un vuoto nel cuore di chi sperava di vivere un’esperienza cinematografica memorabile.

 

 

Roberta Di Rienzo

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