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Final Portrait

Final Portrait – L’arte di essere amici, la recensione

Final Portrait – L’arte di essere amici è un film del 2017, scritto e diretto da Stanley Tucci. Segue la vera storia dell’amicizia tra il celebre artista Alberto Giacometti e il giovane scrittore americano James Lord.

Quelle che per James (Armie Hammer) dovevano essere poche ore di posa nello studio di Giacometti (Geoffrey Rush), si trasformano in due settimane di conoscenza profonda dell’artista e del suo processo creativo.

Final Portrait, la trama

Parigi, 1963. Il giovane scrittore americano James Lord  ha già realizzato molti articoli sul celebre e affermatissimo artista svizzero Alberto Giacometti. Al termine di una mostra, lo stesso Giacometti gli propone di realizzare un suo ritratto. James accetta, con la promessa che la sessione durerà un solo pomeriggio, visto che sta per tornare a New York dopo un lungo soggiorno in Europa.

Dopo il primo incontro, entrambi si accorgono che il lavoro da fare è ancora lungo e James decide di posticipare di una settimana il suo rientro a casa. Sarà solo la prima di molte volte. Quella che inizialmente sembrava una breve seduta di posa, diventa un’esperienza di 18 giorni, al termine dei quali James tornerà in America insieme al dipinto, rimasto incompiuto.

All’interno della casa-studio parigina insieme all’artista vivono suo fratello, Diego Giacometti (Tony Shalhoub), artista anche lui e suo fedele assistente, la moglie Annette (Sylvie Testud), con la quale il grande artista ha un rapporto difficile e conflittuale. Gravita intorno allo studio anche l’amante di Giacometti, la giovane prostituta Caroline (Clémence Poésy), di cui è completamente ossessionato.

Le lunghe sedute di posa diventano un’occasione di conoscenza reciproca ma anche di scontri. Lord ha la possibilità di entrare a far parte della vita sregolata di Giacometti, e cerca di comprendere il complicato processo artistico che c’è dietro la realizzazione delle sue opere, vendute in tutto il mondo a cifre altissime. 

Giacometti si rivela un’artista tormentato, mai contento delle proprie opere. Durante il lavoro viene frequentemente assalito dal dubbio e dall’incertezza, chiedendosi spesso se valga la pena continuare. Ogni volta che il quadro sembra sia sulla strada giusta per essere compiuto, cancella quanto fatto fino a quel momento per ricominciare.

Questo provocherà frustrazione anche in James che, stanco dei continui rinvii della partenza, capisce di dover intervenire nel processo creativo per convincere l’artista a terminare. 

Il quadro non verrà mai concluso, lo scrittore lo porterà con sé in America. I due continueranno a sentirsi per qualche anno, fino alla scomparsa di Giacometti nel 1966.

Alberto Giacometti, l’infinita ricerca della figura umana

La storia raccontata in Final Portrait racchiude gli ultimi anni di vita dell’artista Alberto Giacometti, quando si era già affermato come uno degli artisti più importanti del XX secolo.

Nato a Borgonovo, in Svizzera, nel 1901, Giacometti si forma alla scuola di Belle Arti di Ginevra e all’Accademia della Grande Chaumière di Parigi. E’ qui che nel 1928 entra in contatto con il movimento surrealista, che influenzò le sue prime opere.

Tuttavia, negli anni successivi l’artista si allontana dal movimento e comincia a sviluppare un suo linguaggio personale, concentrandosi sull’osservazione della figura umana e nella continua ricerca dell’essenza dell’uomo.

Il regista Stanley Tucci è riuscito a trasmettere al pubblico, attraverso il racconto di questa storia, la complessità dell’espressione artistica di Giacometti e la sua lotta interiore. L’artista si confronta costantemente con l’impossibilità di comunicare, attraverso le sue opere, la sua visione del mondo.

Le sue sculture, così come il dipinto che vediamo compiersi nel film, riflettono questa tensione tra la volontà di catturare l’essenza dell’uomo e la consapevolezza che ogni sforzo per tradurla in materia sia vano.

Per questo il suo processo creativo era caratterizzato da continue interruzioni, disfacimenti e rimodellanti, senza quasi mai riuscire ad arrivare alla rappresentazione che gli sembrava più giusta.

Conclusioni

Final Portrait – l’arte di essere amici, restituisce in maniera fedele la tormentata anima di uno degli artisti più influenti del Novecento. Oltre al punto di vista di Giacometti, segue anche in maniera altrettanto fedele il libro di James LordA Giacometti Portrait, dove lo scrittore americano racconta la sua esperienza nello studio dell’artista.

L’interpretazione di Rush, nei panni dell’anziano artista, riesce a rendere con grande intensità la tormentata anima di Giacometti, ma anche il suo senso dell’umorismo e la sua stravaganza. 

Un film che lascia una sensazione di estrema bellezza e al tempo stesso di incompiutezza, come quella del dipinto. 

Recensione a quattro stelle su Almanacco Cinema