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Giurato numero 2

Giurato numero 2: il miracolo di un uomo di 94 anni

Giurato numero 2 è il nuovo film di Clint Eastwood che alla veneranda età di quasi 95 anni dimostra di non aver perso un briciolo del suo enorme talento.

Il 42° film del quasi centenario Clint Eastwood è un prodotto che non risente assolutamente dell’età del suo regista. Nonostante il suo penultimo film (Cry Macho, 2021) fosse un’opera con una buona regia ma certamente imperfetta, con questa sua ultima fatica Eastwood dimostra tranquillamente non solo di non aver perso la mano ma, al contrario, di avere ancora molto da dire per farci ancora una volta riflettere sui temi a lui cari.

Giurato numero 2, la trama

Un uomo (Justin Kemp, interpretato da Nicholas Hoult) con un passato da alcolista si ritrova a fare il giurato in un caso di omicidio apparentemente dall’esito scontato. Sua moglie sta aspettando un bambino e poiché in passato una gravidanza era già andata male, la tensione è alta per la coppia che spera questa volta vada tutto per il verso giusto. Pochi minuti dopo l’inizio del processo, mentre vengono illustrati i fatti, Justin si rende conto sempre di più di essere anche lui coinvolto in quella vicenda, pur ignorandolo fino a poco prima.

La giustizia americana, banale e assurda

Il primo elemento che salta all’occhio in Giurato numero 2 è proprio l’enorme quantità di contraddizioni che fanno parte del sistema giudiziario americano. La giustizia americana viene raccontata come eccessivamente superficiale, un ambiente in cui una carriera o il volere popolare sono più importanti della verità e quindi la ricerca di essa in alcuni casi viene penalizzata.

Omaggiando un grande film come La parola ai giurati (Sidney Lumet, 1957), in cui un unico membro di una giuria (interpretato da Henry Fonda) vota per l’innocenza dell’imputato e dovrà riuscire a far cambiare idea agli altri 11 che sono invece per la sua colpevolezza, anche in questo caso il voto dei giurati viene espresso con superficialità e noncuranza.

I pregiudizi verso il passato dell’accusato, il voler accontentarsi delle poche prove che lo inchiodano senza approfondire i fatti e la voglia di chiudere rapidamente il processo in modo da tornare a casa prima e levarsi così il pensiero (via il dente via il dolore, direbbe qualcuno) sono le motivazioni della giuria. Verrebbe da pensare che se i tribunali funzionassero così e le giurie ragionassero tutte in questo modo, allora saremmo messi proprio bene.

Il problema è che è proprio così che funziona negli Stati Uniti e Eastwood, come Lumet, ce lo vuole sbattere in faccia nel modo più diretto possibile. Quante volte un innocente è stato condannato a chissà quanti anni di carcere a causa di un’analisi eccessivamente superficiale da parte della giuria? Ai posteri l’ardua sentenza.

Giurato numero 2

Siamo tutti Justin Kemp, il giurato numero 2

Clint Eastwood è un grande regista perché riesce perfettamente a farci immedesimare nel protagonista del film, Justin Kent. Citando nel finale Crimini e misfatti (Woody Allen, 1989), il regista fa sì che lo spettatore si chieda continuamente: “E se fosse successo a me?”. Ciò che accade al protagonista potrebbe capitare a chiunque di noi in ogni momento della nostra vita, anche domani sera mentre torniamo dal lavoro. Se succedesse a noi, come ci comporteremmo? Riusciremmo a essere onesti o l’egoismo avrebbe la meglio sulle nostre scelte?

Queste sono tutte domande che anche il protagonista, il nostro Justin, si pone per tutto il film e le sue scelte lo porteranno a ritrovarsi in entrambe le situazioni sopra ipotizzate. Eastwood riesce a far immedesimare lo spettatore nel protagonista così bene che a volte vorremmo prendere le sue parti mentre in altri casi preferiremmo essere distanti dalle sue scelte. Il film ci farà dubitare di noi stessi durante la visione perché la verità è che Justin è un personaggio perfettamente umano, così una parte di spettatori condividerà alcune sue scelte mentre altri appoggeranno quelle opposte.

La giustizia è cieca, ci viene detto e mostrato più volte durante il film, poiché dovrebbe esprimersi senza l’interferenza di elementi emotivi e in modo completamente oggettivo. Talvolta però essa è cieca proprio perché non vuole vedere, non vuole andare oltre ma preferisce rimanere in superficie senza farsi coinvolgere. Tuttavia la vera giustizia, che è la nostra coscienza, ci vede benissimo e prima o poi tornerà sempre a bussare alla nostra porta. Forse non in modo estremo e tragico come ci racconta Fritz Lang nel film La strada scarlatta (1945) ma, anche se in modo silenzioso e quieto, un giorno uscirà dall’ombra e ci farà visita.

Giurato numero 2

 

Conclusioni

Per concludere posso serenamente affermare che Clint Eastwood ha girato uno dei migliori film americani dell’anno e che, nonostante l’età, ha saputo utilizzare una regia solida e perfettamente funzionale al racconto. Il regista è stato capace di farci immedesimare integralmente nel personaggio principale soprattutto con qualche tocco di messa in scena molto interessante, specialmente nell’uso dei flashback.

Tutti noi siamo il giurato numero 2, tutti noi ci facciamo le domande che si pone Justin e tutti noi continueremo a pensare a questo splendido film nei prossimi mesi. Il miracolo a cui assistiamo è un film avvincente, profondo e ben fatto, realizzato da un signore novantaquattrenne che ha contribuito alla storia del cinema e, a quanto pare, può ancora scriverne qualche capitolo.

Recensione a quattro stelle su Almanacco Cinema

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