Un racconto che saltella perfettamente nei decenni, aprendo un’infinità di splendide scatolette una dopo l’altra. Questo è Grand Budapest Hotel.
“Questo è un nodo avviluppato, questo è un gruppo rintrecciato, chi sviluppa più inviluppa, chi più sgruppa, più raggruppa”, così Rossini in un’aria de La Cenerentola; quali parole migliori per descrivere il film più premiato di Wes Anderson se non quelle del celebre compositore del XIX secolo.
Questa primavera, Grand Budapest Hotel ha compiuto dieci anni: riscopriamo insieme il film dalle simmetrie perfette.
Tutto inizia nel cimitero di Zubrowka, davanti alla statua dell’autore del libro intitolato: The Grand Budapest Hotel, che la ragazza tiene in mano e inizia a leggere.
Da qui veniamo proiettati nel 1985 per apprezzare il racconto direttamente dalle labbra dell’autore (Jude Law), che durante il suo soggiorno nel Grand Budapest Hotel conosce il proprietario dell’hotel Zero Moustafa (F. Murray Abraham), il quale durante una cena vis a vis, decide di raccontare la sua storia.
Ecco che si apre la terza matrioska e il film ci fa fare un salto di cinquant’anni indietro per rivivere le vicende del giovane Zero, un semplice lobby boy, che segue pedissequamente il concierge Monsieur Gustave, un uomo di mezza età egocentrico, raffinato, amante delle poesie, che intrattiene svariate relazioni con delle attempate ospiti dell’albergo, tra cui la ricchissima Madame D.
L’amicizia con la nobile farà sì che Monsieur Gustave erediti un quadro di rara bellezza e di inestimabile valore, scatenando l’ira del figlio della donna, Dmitri, che farà di tutto per rimpossessarsi dell’opera.
I personaggi sono molteplici, iniziamo dal protagonista indiscusso della pellicola, il concierge Gustave interpretato da Ralph Fiennes (alla prima esperienza con Anderson) l’impeccabile, sempre profumato, organizzatore del Grand Budapest Hotel con un particolare occhio di riguardo per le attempate ricche signore frequentatrici della struttura.
Il giovane Zero (Tony Revolori), il garzoncello appena arrivato presso l’hotel che affiancherà Gustave in tutto, imparando i trucchi del mestiere e aiutandolo in tutte le situazioni, anche le più assurde, questo li porterà a diventare amici inseparabili.
Dmitri Desgoffe (Adrien Brody) il figlio di Madame D. (Tilda Swinton), disposto a tutto per recuperare il dipinto sottrattogli (ingiustamente a suo avviso), avvalendosi anche dell’aiuto del suo scagnozzo senza scrupoli J.G. Jopling (Willem Dafoe).
La legge va fatta rispettare, ergo, serve un ispettore. La scelta di Anderson, in questo caso, è Henckels (Edward Norton), l’ispettore a capo di una squadra di polizia al tempo dei fascisti.
Un avvocato incorruttibile, Vilmos Kovacs (Jeff Goldblum).
La pasticcera Agatha (Saoirse Ronan), l’amata di Zero, che insieme al maggiordomo della famiglia Desgoffe, Serge X (Mathieu Amalric) daranno un grosso aiuto ai due protagonisti.
A chiusura, di un cast già da brividi, troviamo “La Società delle Chiavi Incrociate”, una piccola massoneria formata da tutti i concierge dei Grand Hotel più importanti, capitanati da M. Ivan (Bill Murray presente praticamente in tutti i film di Anderson), M. Chuck (Owen Wilson) e M. Martin (Bob Balaban).
Come per alcuni dipinti, basta uno sguardo per capire l’autore, anche per le pellicole di Anderson il risultato è identico. Il tratto è inconfondibile, le inquadrature sono perfettamente simmetriche, creando un gioco di geometrie che si susseguono senza sosta.
I costumi eccentrici e curati nei minimi dettagli, in perfetto stile Anderson, sono una meraviglia per gli occhi. Il regista e la costumista nostrana Milena Canonero rasentano la perfezione, riuscendo a mescolare l’abbigliamento d’epoca con le giuste contaminazioni di dettagli e colori contemporanei, riscuotendo successo e conquistando l’Oscar.
Le tematiche relative ai soprusi del tempo del fascismo vengono toccate in maniera tragicomica, senza soffermarcisi più del dovuto, lasciando lo spettatore con un sorriso amaro e catapultandolo subito verso un altro avvenimento, aleggiando le comiche del cinema muto.
Gran Hotel Budapest è un film completo. Si parte come nei racconti fiabeschi, con il classico stile “C’era una volta…” per poi ritrovarsi in un racconto nel racconto che ci porta a vivere un’infinità di avventure, tante quante le stanze del Grand Budapest Hotel e dei suoi infiniti personaggi, con una nota comica, di quella comicità ricercata e mai puerile.
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