Presentato lo scorso anno a Toronto, His Three Daughters arriva finalmente su Netflix. Ecco la nostra recensione del dramma diretto da Azazel Jacobs.
Tre sorelle, da anni ormai distanti geograficamente ed emotivamente, si ritrovano insieme nella casa in cui sono cresciute. Il loro padre sta morendo e ognuna vuole essere presente quando se ne andrà. Quest’anticipazione del lutto, vissuta attraverso una forzata convivenza, diventa il modo per riflettere sui loro legami, i loro rancori, ma anche su un affetto che, pur invisibile, persiste.
Azazel Jacobs sceglie alcune coordinate classiche del dramma familiare. Una situazione di incontro universale, conflitti decennali irrisolti, una temporalità ridotta a poche giornate, e soprattutto uno spazio circoscritto. La casa, inoltre, non è solo uno spazio in cui le ragazze si muovono, ma anche un’entità attiva e comunicante.
His Three Daughters è un film che nella sua semplicità, e nonostante forse una certa prevedibilità, riesce a colpire. È stata una sorpresa al Toronto Film Festival 2023 e potrebbe, perché no, essere protagonista della prossima stagione di premi.
Il film diretto da Azazel Jacobs è uno di quei film che, a fronte di una trama semplice, trae la sua forza dalla sceneggiatura e dalle interpretazioni. Carrie Coon, Elizabeth Olsen e Natasha Lyonne mettono in scena personaggi consistenti, credibili e sensibili. Nelle loro interazioni riescono a muoversi sul filo di quella tensione che per il cinema è puro nutrimento.
Katie (Carrie Coon) è la maggiore e anche la prima che ci viene presentata. Apparentemente fredda e cinica, è una donna giudiziosa con una figlia adolescente con cui è in conflitto. Rappresenta il perno razionale del trio: in tutta la prima parte del film vive l’imminente lutto con una lucidità incredibilmente priva di sentimentalismo. Abbastanza in sintonia con Christine, tra lei e Rachel è il gelo.
Rachel (Natasha Lyonne) è l’unica delle tre a non essere biologicamente figlia del padre. L’uomo aveva sposato sua madre dopo la morte della prima moglie, adottando di fatto la piccola Rachel di quattro anni. Viene definita da Katie “fulminata” per via di uno stile di vita “disordinato”. Fuma erba in continuazione, non fa la spesa, e si guadagna da vivere scommettendo online sullo sport.
Christina (Elizabeth Olsen) è, invece, emotiva, posata, mediatrice, ma con la testa fra le nuvole. È la più “sana” delle tre: fa yoga, in quasi tutte le scene ha un bicchiere d’acqua in mano, e misura sempre (o quasi) ogni parola che esce dalla sua bocca.
A partire da questi ritratti piuttosto stereotipati il film prosegue approfondendo e sfaccettando questi personaggi. Seppur alcune traiettorie siano immaginabili, il racconto di queste personalità e della loro complicata relazione funziona.
His Three Daughters in diversi momenti sembra affrontare questo interrogativo. Lo fa in modo scontato riflettendo sulla presenza o meno dei legami di sangue, e ribadendo l’inconsistenza di tale principio. Ma lo fa anche in modo più sottile ricordandoci come il legame familiare non comporta la presenza di personalità affini.
Katie, Rachel e Christina oltre che figlie vorrebbero sentirsi sorelle. Si sforzano di trovare delle somiglianze, dei punti in comune per legittimarsi. Si tratta di uno sforzo inconcludente, e soprattutto superfluo. A unirle è non solo l’amore che tutte e tre hanno per il padre, ma anche quell’affetto che viene naturalmente dall’essere cresciute insieme.
Nella passione con cui Katie e Rachel si detestano e si combattono c’è la radice proprio di quel bene che sono convinte di non provare. La sceneggiatura, da questo punto di vista, cresce in modo costante intensificando la relazione senza esasperazione. A blindare il tutto c’è un’attenta regia.
Azazel Jacobs firma sia la sceneggiatura che la regia di His Three Daughters. Pur muovendosi in uno spazio limitato, la scelta delle inquadrature e dei movimenti di macchina è attenta e funzionale alla caratterizzazione dei personaggi fin dall’inizio.
In tutta la prima parte del film, per esempio, il personaggio di Katie, viene incorniciato da uno sfondo neutro. Solo il muro beige alle sue spalle, a ribadire la freddezza delle sue parole. Il fondale, insieme alle braccia conserte, tipico segno di chiusura, racconta dai primi secondi il punto di partenza dell’arco di Katie.
All’inizio, inoltre, Jacobs predilige inquadrature in cui è presente un solo personaggio. Ce le introduce singolarmente, e anche dalle loro battute la sensazione è quella di una successione di monologhi. La loro incomunicabilità si traduce visivamente con l’impossibilità di chiuderle all’interno stessa cornice.
Non a caso, quando poi le tre si ritrovano a condividere l’inquadratura la tensione esplode verbalmente e fisicamente. Quella rabbia, così violenta ma così autentica, diventa però l’elemento di svolta che disarma finalmente le tre protagoniste, e le spinge a un confronto più profondo.
Infine, in una modalità molto simile a quella che abbiamo visto usare da Emma Dante ne Le sorelle Macaluso, Jacobs si serve dei dettagli della casa. In diversi momenti inquadrature fisse su mobili, quadri e oggetti vari, provano a narrare l’essenza di quest’uomo che sta morendo. Ma è davvero possibile farlo?
Se nella prima parte His Three Daughters riflette sui legami familiari, nel finale il focus si sposta.
Quando Jay O. Sanders entra in scena nei panni del padre è il tema della morte a farsi più intenso. Oltre a una riflessione sul rimpianto e su tutte le parole che in vita non abbiamo il coraggio di dire, emerge un elemento di antica memoria.
Scopriamo che ciò che ha davvero fatto la differenza nella vita di quest’uomo è un incontro giovanile. Una donna, inconsapevolmente e moltissimi anni prima, ha cambiato la sua esistenza. Una ragazza che non ha mai dimenticato. Eppure, nessuna delle persone che lo ha accompagnato per tutta la sua vita lo sa. Due mogli, tre figlie, intimità e racconti, ma una cosa così importante rimane un segreto nel cuore di Vincent.
Come nel pionieristico Quarto Potere (1941), dunque, il film fa luce sul mistero che è in ognuno di noi. Il film di Orson Welles si apre con il cartello “no trespassing” a ricordare che non è quasi mai possibile avere accesso all’essenza più profonda delle persone. E questo, in fondo, fa parte proprio del fascino dell’esistenza.
His Three Daughters è un ottimo dramma familiare che, con una messa in scena curata e mai eccessiva, riesce a essere sensibile e profondo. La colonna sonora, firmata da Rodrigo Amarante, accompagna la calda fotografia di Sam Levy. L’ambientazione newyorkese, inoltre, richiama l’atmosfera di un certo cinema indie molto in voga negli ultimi anni.
La sceneggiatura è asciutta, priva di eccessi, e permette alle tre interpreti di lavorare al meglio. Carrie Coon, Elizabeth Olsen e Natasha Lyonne offrono tre prove convincenti, e si dimostrano affiatate tanto nel conflitto quanto nello scioglimento finale.
Il film di Azazel Jacobs rappresenta certamente un ottimo acquisto da parte di Netflix su cui il film è disponibile dal 20 settembre. Delicato ma confortevole His Three Daughters è un’ottima opzione per l’inizio di questo autunno!
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