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Il sacrificio del cervo sacro: tra mito e realtà
Il Sacrificio del cervo sacro è un film inquietante che unisce mito, vendetta e riflessioni morali, presentando una tragedia moderna ispirata all’antica Grecia.
Il mito dell’Euripide
Il film affonda le sue radici in un mito antico, richiamando la figura di Ifigenia, ma reinterpretandola e adattandola alla realtà contemporanea in modo abbastanza oscuro e inquietante.
Come nel mito dell’Euripide, la storia di Lanthimos ruota attorno ad un sacrificio, ma qui non si tratta di una donna disposta a morire per il bene del suo popolo, bensì di una famiglia costretta ad affrontare una scelta altrettanto crudele motivata da ragioni profondamente personali e complesse.
Nel mito, Ifigenia accetta di sacrificarsi per placare la dea Artemide, ma all’ultimo momento viene salvata, con il suo sacrificio che non si consuma davvero.
Questa salvezza, come nel caso di Ifigenia, può sembrare una sorta di premio per la sua incondizionata dedizione.
Al contrario, nel film di Lanthimos, la dinamica del sacrificio è molto più spietata e priva di ambiguità. Il sacrificio richiesto non ha alcuna giustificazione religiosa o mitologica, ma è mosso dal desiderio umano di vendetta e giustizia.
La vendetta
Il film si allontana quindi dal puro riferimento mitologico per esplorare la brutalità di una vendetta e la moralità ambigua di un sacrificio.
Se nel mito dell’Euripide, Ifigenia accetta di sacrificarsi per un bene superiore, nel film di Lanthimos diventa una forma di retribuzione per il dolore e la perdita.
Qui non c’è una salvezza miracolosa come quella di Ifigenia, ma una spirale infinita di sofferenza e inevitabilità che si manifesta attraverso un linguaggio visivo che evoca la stessa freddezza e determinazione che caratterizzano il sacrificio mitologico.
Tragedie odierne
In questa reinterpretazione, Lanthimos mescola l’elemento del sacrificio con quello della vendetta, creando un intreccio che riflette le tragedie umane moderne, pur mantenendo una profonda connessione con il mito e la sua sacralità.
La cosa interessante del film è che incarna perfettamente lo stereotipo odierno della famiglia apparentemente perfetta, che si rivela poi in realtà totalmente disfunzionale.
Steven Murphy, interpretato da Colin Farrell, è un chirurgo di successo, e la sua consorte, interpretata da Nicole Kidman, insieme ai loro due figli, sembra formare il ritratto di una famiglia perfetta e normale.
Tuttavia, la loro vita apparentemente equilibrata viene scossa dall’arrivo di un elemento estraneo: Martin, un giovane di sedici anni interpretato da Barry Keoghan, che con la sua presenza inquietante, destabilizzerà per sempre gli equilibri familiari.
Il “cervo sacro” moderno
La figura di Martin, infatti, agisce come una sorta di “cervo sacro” moderno, portatore di una vendetta che si fonda su una legge non divina ma sicuramente implacabile, quella tra vita e morte.
Qui, proprio come nel mito, il sacrificio è richiesto per il bene di un intero esercito, per ristabilire un ordine che è minato dall’egoismo e dalle colpe di un singolo individuo.
Chi è davvero Martin?
Ma chi è davvero Martin? Di sicuro non una figura sacra, solo un ragazzo umano con un forte desiderio di vendetta, sentimento tanto umano quanto terribile.
La sua tremenda vendetta si basa su una logica matematica spietata: una vita per una vita.
Martin cerca di compensare la morte di suo padre e il rifiuto del chirurgo di intraprendere una relazione con sua madre, mettendo in atto una vendetta fredda e calcolata.
Tra incanto e provocazione
Tutto questo sfocia in una tragicommedia alquanto grottesca, si susseguono una serie di eventi surreali, un finale forse troppo forzato.
Come sempre, Lanthimos sa come provocare e incantare allo stesso tempo lo spettatore.
La cosa che mi chiedo è: se il sacrificio è la chiave per salvare ciò che amiamo, fino a che punto siamo disposti a perdere noi stessi per il bene degli altri?
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