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Il seme del fico sacro, la recensione
Il seme del fico sacro (in persiano دانهی انجیر معابد, Dāne-ye anjīr-e ma’ābed, letteralmente “Il seme del fico dei templi”) è un film del 2024 scritto e diretto da Mohammad Rasoulof, candidato agli Oscar 2025 come miglior film internazionale in rappresentanza della Germania.
Si tratta di una co-produzione italo-franco-tedesca perchè, seppur girato interamente in Iran, per i delicati temi trattati è stato dovuto realizzare totalmente all’oscuro del governo iraniano.
Le scene, riprese clandestinamente, si svolgono infatti perlopiù in interni mentre, le situazioni in esterna, investono una cittadina fuori da Teheran, in modo tale da cercare di aggirare la censura. Da ultimo, le vicende cittadine rappresentate dal regista sono invece frutto di materiale d’archivio già esistente, proveniente da alcuni documentari.
Basterebbe questo accenno riguardante la complessità del lavoro che ha permesso a questo film di vedere la luce, nonché le vicende di cui sono stati vittime il regista e gli attori, per poterlo descrivere, ma non renderebbe giustizia alla potenza del messaggio che vuole mandare.
La pellicola si pone come un manifesto della voglia di conquista di diritti da parte delle donne iraniane e, allo stesso tempo, mira ad evidenziare con quale forza subdola i precetti del regime si impadroniscono delle azioni delle persone, le quali finiscono per disconoscere la propria umanità a tal punto da pensare di fare del male ai propri affetti più cari pur di non mettere in discussione la propria identità e la benevolenza dell’azione del governo.
La trama
Iman (Misagh Zare) è stato appena promosso dal regime a giudice istruttorio del Tribunale Rivoluzionario di Teheran. La sua carriera è quindi avviata e mancano davvero pochi passi per arrivare alla meta tanto ambita, la poltrona di giudice supremo, con cui è convinto che darà una svolta alla sua vita e a quella della sua famiglia.
La promozione coincide però sfortunatamente con lo scoppio di un’ondata di proteste popolari contro il regime che parte da Teheran e sconvolge tutto il paese.
Le sue due figlie studentesse Rezvan e Sana (Mahsa Rostami e Setareh Maleki), nonostante la mistificazione della realtà che opera la televisione di stato, e grazie soprattutto alle notizie e alla violenza dei filmati che fanno il giro della rete, si rendono pian piano sempre più consapevoli della repressione che opera il regime e finiscono per abbracciare moralmente la causa dei rivoltosi.
La moglie Najmeh (Soheila Golestani) si trova a dover fronteggiare da sola la situazione fungendo come vero e proprio ago della bilancia tra il tentativo di comprendere le istanze di ribellione delle figlie (e del paese intero) e la difesa dell’autorità di Iman che è ormai diventato un alto rappresentante del governo e, come tale, tende sempre di più a riflettere i valori e le leggi imposte dal regime.
Tutto precipita quando Iman non ritrova più la pistola di servizio. La convinzione di averla riportata a casa e la paranoia di non trovarla più andando incontro alle potenziali conseguenze morali e giuridiche del regime s’impadroniscono di lui fino a che non comincerà a imporre restrizioni sempre più drastiche alla sua famiglia al fine di recuperarla.
Il grande cambiamento parte da tanti piccoli gesti
E’ questo il significato che si nasconde dietro al titolo del film. E’ solamente l’unione di tanti piccoli gesti coraggiosi che può cercare di stravolgere a piccoli passi un contesto già fortemente costituito.
Così, come i semi che permettono la nascita del fico sono alla base di un processo che parte dal loro fuoriuscire dagli escrementi degli uccelli che muovendosi li depositano su altri alberi già formati, e piano piano permettono al nuovo albero di prendere forma, solo il coraggio delle piccole azioni delle tante persone che vogliono opporsi all’oppressione del regime possono sommarsi fino ad essere in grado di far nascere un nuovo avvenire.
Nel caso specifico del film sono i gesti delle tante donne che nel loro contesto, aiutate anche da uno strumento come la rete che gli permette di vedere cosa succede al di fuori del ‘piccolo mondo’ controllato in cui sono costrette, cominciano a crearsi una loro coscienza critica e riescono ad emanciparsi al punto da arrivare a scontrarsi con ‘l’autorità’ mettendone in discussione i valori e le leggi che riflette.
Ma il riferimento può estendersi a maggior ragione a chi in primis ha contribuito alla creazione di questo prodotto.
A due terzi delle riprese, il regista è venuto a conoscenza che era stata emessa una sentenza di otto anni di carcere per un caso precedente. I suoi legali si sono appellati ed è riuscito a finire di girare il film.
Alcuni mesi dopo, durante la post produzione, un tribunale ha riconfermato la condanna e Rasoulof è riuscito a trasferire il film all’estero dal suo montatore due ore prima che la sentenza diventasse esecutiva.
In seguito all’annuncio della sua futura inclusione a Cannes, Rasoulof è stato interrogato dalle autorità del Paese e gli è stato revocato il passaporto, così come agli attori e ai membri della troupe.
Il regista è riuscito comunque a lasciare clandestinamente il Paese e a presenziare alla prima del suo film al Festival di Cannes. Anche alcuni tecnici e le attrici Mahsa Rostami, Setareh Maleki e Niusha Akhshi hanno lasciato il Paese, avendo recitato a capo scoperto nel film, mentre Soheila Golestani è stata arrestata.
Le loro famiglie e i membri della troupe rimasti in Iran sono stati sottoposti a minacce e pressioni.
Conclusioni
Il seme del fico sacro è un thriller meraviglioso che tramite una sceneggiatura originale riesce a farci riflettere sui meccanismi dei conflitti che, in alcuni contesti in cui la politica non garantisce le libertà fondamentali agli individui e opprime alcune categorie sociali non permettendogli un’autonoma conquista dei diritti negandone in toto il progresso, si vengono a creare anche in seno al più insospettabile degli ambienti, quello familiare.
In questo racconto una parte fondamentale viene recitata da internet e dai social media che, sprovvisti di censura, sono in grado di arrivare anche nei contesti dove l’educazione e l’informazione mainstream pilotate dalla politica cercano di acquietare le coscienze critiche proponendo una narrazione della realtà totalmente stravolta e asservita a determinati scopi.