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La figlia oscura, la recensione su Almanacco Cinema

La figlia oscura, la maternità imperfetta

La figlia oscura (2021) è il primo film di Maggie Gyllenhaal. Tratto dal romanzo di Elena Ferrante, la pellicola tratta temi legati alla maternità e all’identità femminile. 

Presentato al Festival del Cinema di Venezia 2021 e nominato a tre premi Oscar, La figlia oscura tratta in modo crudo e spiazzante il tema della maternità, presentata come esperienza totalizzante, ma allo stesso tempo opprimente, spingendo lo spettatore a interrogarsi sui ruoli e sulle aspettative sociali legati alla figura femminile.

La figlia oscura, la trama

Leda Caruso (Olivia Colman), rinomata professoressa universitaria di mezza età, sta trascorrendo le sue vacanze in Grecia, quando sulla spiaggia nota una chiassosa famiglia americana. La sua tranquillità viene definitivamente turbata quando Elena, figlia della giovane Nina (Dakota Johnson), scompare dalla spiaggia. 

Leda trova la bambina e inizia ad instaurare un rapporto con Nina: questa relazione porterà a galla ricordi dolorosi del passato di giovane madre di Leda. 

Attraverso alcuni flashback, vediamo la protagonista, interpretata nella sua versione trentenne da Jessie Buckley, che lotta per bilanciare il suo ruolo di madre di due figlie e le sue ambizioni accademiche. 

Incapace di gestire le pressioni della maternità e non sentendosi supportata dal compagno, Leda compie una scelta drastica: abbandona per tre anni la casa e le figlie per seguire i propri desideri. La scelta compiuta anni prima continua a procurarle dolore e senso di colpa anche nel presente. 

La maternità imperfetta e la frammentarietà femminile

Uno dei temi più forti portati sullo schermo in modo non convenzionale da Gyllenhall in La figlia oscura è la rappresentazione di una maternità imperfetta, non idilliaca e gratificante ma, al contrario, opprimente e complessa. 

Leda, prima di essere madre, è una donna con ambizioni e desideri che vengono intralciati e limitati dalla maternità stessa. 

Questa ambivalenza la porta a compiere una scelta in favore di sé stessa e della sua libertà personale, grazie alla quale riuscirà a realizzarsi a livello personale e professionale, ma che le lascerà un senso di colpa perenne e un profondo rimorso. 

È un personaggio frammentato tra passato e presente, diviso tra doveri materni, a cui si sente di essere venuta meno, e ricerca di compiutezza personale. 

In conclusione

La figlia oscura pone più domande che risposte a noi spettatori. Ci invita a ragionare sulle aspettative che la società impone alle madri che, una volta diventate tali, non vengono più concepite come singoli individui, mosse da passioni e desideri, ma vengono relegate nel solo ruolo di accudimento e protezione dei figli.

Recensione a tre stelle su Almanacco Cinema

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