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La meravigliosa storia di Henry Sugar e altre, recensione

La meravigliosa storia di Henry Sugar e altre tre, la recensione

Su Netflix è possibile recuperare La meravigliosa storia di Henry Sugar e altre tre storie, una serie di corti diretti da Wes Anderson nel 2023.

La meravigliosa storia di Henry Sugar è un mediometraggio di 40 minuti che ha vinto un Oscar come miglior corto nel 2024. Le altre tre storie si intitolano Il derattizzatore, Il cigno e Veleno. Fanno parte di una raccolta in cui Anderson dà vita per immagini ad alcuni racconti di Roald Dahl, celebre scrittore inglese. Per intenderci è colui che ha scritto La fabbrica di cioccolato, Matilde, Le Streghe. Tutte opere da cui sono stati tratti film di successo per ragazzi. Anderson già aveva trasposto Dahl con il suo Fantastic Mr. Fox (2009).

Con questi corti, produzioni Netflix, crea delle trasposizioni “teatrali” più che cinematografiche, in cui le scenografie sono dei dipinti e gli attori fanno da voce narrante in campo. Infatti, abbiamo sempre gli stessi attori, Benedict Cumberbatch, Ralph Fiennes, Dev Patel, Ben Kingsley, Richard Ayoade e Ruper Friend, che interpretano più personaggi nelle varie storie. E raccontano letteralmente quello che stanno facendo in scena. I corti sono una riflessione sul linguaggio e sul rapporto fra parola e immagine.

La meravigliosa storia di Henry Sugar

È il racconto che fa da perno alle altre storie ed è anche il corto più lungo. Ogni racconto vede Ralph Fiennes nei panni dello stesso Roald Dahl, voce narrante primaria.

Il mediometraggio è costruito come un racconto nel racconto nel racconto. Dahl racconta la storia di Henry Sugar (Cumberbatch), un uomo molto ricco, interessato solamente ad aumentare la sua eredità. Sugar sembra non avere uno scopo nella vita, finché non viene a conoscenza, tramite un libricino, della storia di Imdad Khan (Kingsley). Uomo indiano in grado di “vedere a occhi chiusi”.

La storia di questo prodigio è raccontata da un medico (Patel) che ha fatto la conoscenza di Khan a Calcutta. Khan, a sua volta, racconta al dottore come ha acquisito la sua capacità e del suo incontro con Il grande Yogi, in grado di lievitare grazie alla forza della mente. Il grande Yogi, allora, racconta a Khan come esercitare la mente così da riuscire a fare cose impensabili. A questo punto, la storia torna a Henry Sugar, che riesce a esercitarsi fino ad arrivare a “vedere a occhi chiusi”, così da truffare i grandi casinò di Londra.

Henry Sugar di Wes Anderson

La storia corre a perdifiato di racconto in racconto per poi chiudersi in senso ciclico con le parole di Dahl/Fiennes. I vari personaggi passano da una scena all’altra spostandosi tra scenografie e rompendo la parete che esiste tra realtà e finzione. Quello di Anderson è un esperimento metalinguistico che, anche se interessante e visivamente accattivante, risulta stucchevole. Infatti, viene richiesta una grande attenzione per seguire lo scorrere veloce delle parole dei protagonisti. I quali, di fatto, descrivono minuziosamente quello che stanno facendo in scena. L’intento dovrebbe essere ironico ma finisce per essere quasi irritante. Un mero esercizio di stile da parte del regista, dove poco viene lasciato all’emozione.

Il derattizzatore

In questo corto, 17 minuti, protagonista è un derattizzatore (Fiennes). Viene chiamato presso una stazione di servizio da un benzinaio (Friend) e un giornalista (Ayoade) per disinfestare dai ratti la zona. L’uomo è un esibizionista, un cultore del suo lavoro, che ha l’aspetto lui stesso di un ratto. Vede il suo operato come una grande esibizione in cui imbonire il suo pubblico.

Peculiarità del racconto è lasciar spazio all’immaginazione. Infatti, alcuni oggetti o animali a cui viene fatto riferimento non sono visibili. Il derattizzatore li tiene in mano ma noi non li vediamo. Una riflessione sulle capacità persuasive di chi sa utilizzare sapientemente la parola. Anche in questo caso seguire il racconto non è sempre facile. Non tanto per l’invisibilità di alcuni concetti quanto, nuovamente, per un certo piattume dovuto alla voce narrante in campo (il giornalista).

Il cigno

Il cigno racconta una storia di bullismo attraverso la voce narrante della vittima stessa ormai adulta (Friend). Infatti, in un ambiente rurale, alcuni bambini decidono di prendere di mira un loro compagno molto intelligente e studioso. Amante degli uccelli. I bambini si dimostrano estremamente crudeli e pericolosi, mettendo a rischio la vita stessa del loro compagno.

Peculiarità del corto è sicuramente la scenografia. Vediamo un labirinto fatto di fieno in cui si spostano la voce narrante e i bambini protagonisti. O meglio un solo bambino, perché i bulli hanno l’aspetto di persone adulte. Anche questa storia, nonostante l’argomento, non riesce a smuovere dentro. E la riflessione rimane decisamente in superficie.

Veleno

La meravigliosa storia di Henry Sugar: Veleno

Arriviamo all’ultimo corto, Veleno, sicuramente il più bello e avvincente. Una sorta di mini-thriller che ci fa assaporare il paradosso della sospensione dell’incredulità. Ovvero il tacito patto che esiste tra autore e pubblico per cui per immergersi in un’opera di finzione bisogna sospendere il proprio senso critico, o meglio di realtà.

Ci troviamo in India durante l’occupazione britannica. Quando una sera Timber Woods (Patel) tornando a casa trova il suo amico Harry Pope (Cumberbatch) immobilizzato a letto che chiede aiuto. Scopriamo – Woods è la voce narrante – che un serpente particolarmente velenoso, il Krait, si è posato sotto il lenzuolo sulla pancia di Pope. Se l’uomo si muove rischia di essere morso mortalmente.

Viene allora chiamato un medico indiano del posto (Kingsley), che attraverso vari espedienti riesce a salvare Pope. Si scopre però alla fine che il serpente non c’è. Dove sarà finito? Il racconto crea una forte tensione, grazie alle grandi interpretazioni dei protagonisti. Con Cumberbatch, disteso a letto per tutto il tempo, che può muovere a malapena occhi e bocca. Nonostante non vediamo mai il serpente, la sua pericolosità e il terrore dei protagonisti arriva dritto a chi guarda. Questo forse è l’unico dei corti che “fa il suo lavoro”, coinvolge e riesce a portare a conclusione le sue premesse.

La meravigliosa storia di Henry Sugar e altre tre, conclusioni

Si può dire che Wes Anderson con questa raccolta di corti abbia perso un’occasione per portare avanti un discorso interessante sul racconto e la scrittura. Nonostante il forte impatto visivo dei corti, come accade sempre nelle sue opere, manca un po’ di sostanza. Anderson ha conquistato la propria fama anche per la profondità dei suoi film e non solo per la loro perfezione formale.

Abbiamo storie godibili e l’impianto teatrale e metalinguistico dei corti è suggestivo ma rimane poco altro. Sembra che il regista sia diventato troppo autoreferenziale, come evidente anche nei suoi ultimi lungometraggi, e l’elemento originalità del suo lavoro si sia ormai dissolto.

Gli elementi scenografici e gli espedienti retorici non arricchiscono più le sue storie ma le appesantiscono, rendendo difficoltoso seguirle. E questo è un peccato perché lo stile del regista è sicuramente unico ed evocativo come nessun’altro. Forse solo con Tim Burton abbiamo lo stesso grande impatto stilistico. Quello che il regista dovrebbe rimettere al centro è proprio la coerenza del racconto, così da regalarci altre opere perfette come Grand Budapest Hotel.

🎬 Valutazione

Regia
★★
Interpretazioni
★★★★
Storia
★★
Emozioni
★★
🏆 Voto Totale
2.5
★★⯨