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Le anteprime: Megalopolis, la recensione
Lunedì sera abbiamo visto in anteprima italiana il travagliato ultimo lavoro di Francis Ford Coppola, Megalopolis: un monumentale testamento artistico.
Come suggerisce il titolo dell’ultimo film di Francis Ford Coppola, Megalopolis, si tratta di un progetto decisamente megalos, vale a dire grande: non solo la città utopica immaginata dal protagonista Cesar Catilina ma anche il progetto del film stesso.
Sì, perché Coppola aveva immaginato questo film già negli anni Ottanta, ma ha potuto realizzarlo solo 40 anni più tardi per la difficoltà di trovare, malgrado la sua chiara, una casa di produzione che scegliesse di farsene carico. Ed è così che Coppola si è rimboccato le maniche, ha raccolto 120 milioni di dollari e si è auto-prodotto il film, attraverso la propria società di produzione, la American Zoetrope.
Lo diciamo subito: noi siamo grati al regista di aver creduto fino in fondo a questo progetto, così visionario, forse di difficile accesso per il pubblico, ma estremamente suggestivo, simbolico, immaginativo e, soprattutto, di puro cinema.
Durante l’introduzione alla proiezione in anteprima in occasione della pre-apertura della Festa del Cinema di Roma, il regista stesso è intervenuto in diretta dai Cinecittà Studios per illustrare brevemente le riflessioni che lo hanno portato a concepire Megalopolis. Alla platea, lui ha domandato: “Perché i fondatori dell’America hanno provato a copiare l’antica Roma?”.
Megalopolis, la trama
New Rome, 21esimo secolo. La città è in mano alla potente famiglia Cicero, che pensa a costruire casinò mentre un uomo, Cesar Catilina, immagina una città futuristica e resa più efficiente e funzionante grazie a una misteriosa sostanza, il megalos. Da una parte il mondo come lo conosciamo, dall’altra il mondo come potrebbe essere.
In mezzo, la famiglia dello zio di Catilina, che possiede la banca cittadina e quindi detiene il potere economico: e attorno a sé ha molte bocche avide da sfamare.
Il parallelismo tra Impero romano e Impero americano
Questo parallelo, come ha provato a dirci Coppola prima della proiezione, è un po’ la motivazione alla base del film: usare le grandi storie, anche sanguinarie, della tradizione latina per raccontare l’oggi, che da quel passato poco si discosta.
Gusti e pratiche sessuali che si ispirano a quelli “liberi” che erano in vigore ai tempi dell’antica Roma (bisessualità e incesti compresi), travestitismo, avidità, sfarzosa ricchezza, città imponenti: tutto ci parla di costumi dissoluti, energia dirompente, grandezza e rovina.
Prendendo come modello degli statunitensi gli Antichi romani, caratterizzati dalla grandezza ma anche da una certa rozzezza di fondo che molto si discostava dalla raffinatezza dei Greci ai quali si ispiravano. A un certo punto del film si sente dire: “Se Roma muore il mondo muore”: in un certo senso, oggi, la stessa percezione vale per gli Stati Uniti: se decadono loro, muore il mondo come lo abbiamo conosciuto nell’ultimo secolo.
Se ora ci troviamo in un periodo storico caratterizzato da qualcosa, questo è il momento della decadenza del Grande Impero Americano, alla stregua della decadenza del Grande Impero Romano.
ll simbolismo dei nomi
Nomen omen: lo dicevano i latini, lo confermano i personaggi di Megalopolis. Il protagonista è una sorta di crasi tra Cesare e Catilina. Il suo cognome, Catilina, rimanda al celebre politico che tentò di rovesciare la repubblica romana con la congiura che porta il suo nome. Il suo acerrimo nemico politico fu proprio Cicerone, il Cicero del cognome della famiglia del sindaco: l’avvocato che il Senato gli schierò contro nella corsa ad elezione a console (e che gli soffiò la carica).
Il personaggio del banchiere Hamilton Crassus III deve il suo cognome al console romano Marco Licinio Crasso, membro del primo triumvirato che vedeva tra i tre anche Caio Giulio Cesare, del quale era amico (e che nel film è suo nipote). A completare il quadro, vale la pena menzionare i nipoti di Crassus III, vale a dire i Pulcher: la parola, che significa “bello” in latino li connota come personaggi estremamente attenti all’apparenza, tipici prodotti della società contemporanea.
Non manca Vesta Sweetwater, simbolo di femminilità casta nel film come nell’antica Roma, che qui viene declassata da dea a pop-star vergine che accetta generose donazioni per mantenere intatta la propria verginità, come vediamo in una delle scene più belle e centrali del film. Non possiamo mancare di sottolineare che “Sweetwater” (Acque dolci) ha tutta l’aria di essere un riferimento, nemmeno troppo velato, alle Chiare, fresche e dolci acque di Francesco Petrarca e al prototipo della donna angelicata del Dolce Stil Novo italiano.
Megalopolis, i temi
Il potere. Il tempo
Dei temi attorno ai quali ruota il film, quelli centrali sono senz’altro due: il potere, un tema cardine anche nella società dell’Antica Roma sia repubblicana che imperiale, e il tempo.
Quest’ultimo è il tema di apertura del film: vediamo un grande orologio che sovrasta una stazione del treno, poi l’inquadratura dell’impetuoso skyline di New Rome ci porta a conoscere il nostro protagonista, che dalla cinema di quello che avrebbe tutta l’aria di essere il Chrysler Building di New York, si esercita a fermare il tempo, letteralmente.
Tempo che poi, in seguito, si lamenterà di non riuscire più a governare. Saggiamente gli verrà detto: “Gli artisti sanno sempre governare il tempo”. Ed è qui che Coppola ci parla della crisi creativa che poi trova una sua risoluzione, suggerendo che chi crea qualcosa, che sia una città utopica o un film, riesce a cavalcare il tempo senza farsene sopraffare.
In Megalopolis il tempo diventa quasi un’ossessione, con l’enorme orologio-piattaforma che si trova in mezzo al cielo, sulla sommità di un grattacielo, sul quale si rifugiano Cesar e un altro personaggio importante del film.
Non meno ossessivo è il tema del potere, che si dispiega in diverse modalità, inclusa quella sessuale – incarnata dal personaggio em>Wow Platinum – che lo dichiara apertamente: “Sono stanca di essere la tua amante: voglio essere la metà di una coppia di potere”. E alla fine orienterà in modo coerente le proprie scelte personali.
Cosa garantisca il potere al giorno d’oggi, anche a New Rome, viene chiarito benissimo nella scena di una festa di matrimonio: “l’economia, il giornalismo (l’informazione, ndr) e il sex appeal”.
La vendetta
Come in ogni storia che assuma i contorni di una faida, anche qui il tema della vendetta è fondamentale. Addirittura, ci rivelerà la presenza di un vero e proprio libro delle “vendette” da consumare dal quale depennare le vittime designate.
Gli abitanti di New Rome lo sanno bene: la vendetta è un piatto da servire sempre freddo.
Il deep fake, la bugia
Dubita della verità di ciò che vedi: questa potrebbe essere una delle massime di Megalopolis. Nel corso del film ci si renderà conto che ciò che si vede spesso non è tale. Anche quando si autoproclama “una persona trasparente”.
Il conflitto modernissimo tra politica e anti-politica
Uno dei personaggi del film incarna le istanze e la scalata al potere di un certo Donald Trump, almeno nell’ambizione politica. E come lui fa ricorso a toni altisonanti e turpiloquio, sottolineando la propria supposta estraneità alla “vecchia politica”, cercando di scatenare una guerra tra poveri per poter demolire il suo nemico più pericoloso.
Shakespeare mon amour
Questo film è colmo di omaggi a William Shakespeare, a partire dal nome della protagonista femminile, Julia Cicero, il cui nome e la cui vicenda, sotto certi aspetti, rievocano la Juliet di Romeo e Giulietta.
Non manca il celeberrimo monologo di Amleto, recitato da Cesar Catilina in una spettacolare entrata in scena, e la tragedia più romantica di tutti i tempi torna in un bellissimo monologo, sempre recitato da Cesar in un momento importante del film: “Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni”. Una frase che è diventata pure parte del claim di una nota automobile italiana al tempo del suo lancio.
Gli elementi shakespeariani sono tanti: l’amore che sboccia tra famiglie rivali, la presenza di un Claudio (o, in questo caso, di un Clodio) dalla condotta decisamente riprovevole e il bisogno, anzi, il diritto di sognare.
La città utopica
Il nostro Cesar Catilina, oltre al potere di fermare il tempo, ha quello di sognare: un potere sempre più raro, che lo distingue da tutti gli altri personaggi del film. La sua capacità immaginativa lo porta a concepire una vera e propria Utopia alla Thomas More, nella quale le persone possano spostarsi velocemente ed entrare in contatto le une con le altre.
Nel suo progetto, questa città appare più reale di quanto non sembri, molto simile alla Neom immaginata e finanziata in Arabia Saudita. Cme direbbe un noto claim pubblicitario: “niente sogni, ma solide realtà”. Attraverso il tema del sogno, il film si interroga anche sul nostro modo di vivere, per bocca dello stesso Cesar: è davvero il migliore possibile?
Certo è che anche le utopie hanno il loro prezzo da pagare.
Un punto debole
Dopo averci scoperchiato la sua visione, mostrato città utopiche, condiviso cultura classica e messo in scena un grande kolossal, a tratti piacevolmente allucinato, sul finale Coppola vira verso una chiusura del cerchio più stereotipica. D’altronde si è giustificato fin dall’inizio definendo il suo film una “favola”, ma forse avremmo preferito un finale orchestrato diversamente.
Un film da “quotare”
Non solo il Bardo. Megalopolis è intriso di citazioni varie, incluse alcune della fonte latina più amata dal cinema statunitense: Marco Aurelio.
In alcune scene del film si svolgono tenzoni a colpi di citazioni a volte enigmatiche ma sempre pertinenti alla storia. Non mancano frasi da poter citare una volta usciti dalla sola cinematografica.
Un cast a dimensione familiare
Sappiamo come a Scorsese piaccia lavorare con i propri parenti – e di parenti che lavorano in ambito cinematografico ne ha davvero molti. Questo si può considerare a ragion veduta il suo film più “familiare”, a partire dalla dedica finale all'”amata moglie Eleanor”. Nel cast figurano la sorella Talia Shire, già Connie Corleone in Il padrino, e il figlio di lei Jason Schwartzman. Mancano all’appello solo la figlia Sofia Coppola e il nipote Nicolas Cage.
Ci sono innesti molto interessanti nel cast, a partire dal protagonista Adam Driver, attore amato da Martin Scorsese, che maneggia perfettamente il personaggio di Cesar Catilina. Una piacevole sorpresa è la co-protagonista Nathalie Emmanuel, già Missandei in Game of Thrones, anche se a primeggiare è l’irresistibile Aubrey Plaza, ottima dea-ex-machina di un’intera parte del film.
Nel film ritroviamo anche Jon Voight, l’Uomo da marciapiede dell’omonimo film del 1972, che ritrova sul set il suo antico co-protagonista Dustin Hoffmann: interpretano rispettivamente i ruoli del banchiere Hamilton Crassus III e di Nush ‘The Fixer’ Berman, amico del sindaco Cicero.
Azzeccatissime le scelte di Giancarlo Esposito, il terribile Gustavo di Breaking Bad, e soprattutto di Shia LaBeouf, rispettivamente nei panni del sindaco Cicero e di Clodio Pulcher. Vesta Sweetwater, invece, è interpretata dalla cantautrice che ha vinto l’edizione 2016 di America’s Got Talent, la ventenne Grace VanderWaal.
In conclusione
Megalopolis è un film monumentale e a dir poco strabordante, dotato di una pregiata confezione – fotografia, costumi (di Coleen Atwood), colonna sonora – che è una summa di tutto ciò che Coppola ama e trova urgente raccontare a livello artistico. Come direbbe qualcuno: c’è molto Coppola, in questo film. Così tanto che è considerabile a tutti gli effetti un “testamento” artistico del regista.
Poco compreso dal pubblico – su IMDB ha un punteggio di sole 5 stelle su 10 – non si può esaurire né in una sola visione né in una singola recensione, ma meriterebbe un bis per essere meglio valutato e compreso. Avviso ai gentili spettatori: tranquilli, non ci si annoia.
A nostro parere, 120 milioni di dollari ben spesi. Per sognare e riflettere, come il grande cinema sa far fare.
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