Lucky, trascendenza verso la morte

La paura di morire di un novantenne messa in scena sottoforma di viaggio spirituale e di trascendenza.

Lucky ci porta nell’inconscio di un novantenne che si accorge di come gli manchi in realtà molto poco da vivere ed affronta una crisi esistenziale. La crisi può culminare solo però in qualcos’altro ed il viaggio trascendentale inscenato da John Carroll Lynch nella sua opera prima nonché unico film realizzato riesce ad emozionare ed ispirare con un tema così delicato ma col quale conviviamo dal primo giorno in cui respiriamo.

Un film che ha del poetico e dell’autoconclusivo anche nella realtà dato che pochi mesi dopo l’uscita, morì proprio il protagonista, Harry Dean Stanton, all’età di 91 anni. Un’allegoria del reale che unisce cinema e realtà e che non può lasciare indifferenti, come se i pianeti si fossero realmente allineati e il grande schermo fosse in qualche maniera, spirituale e non, collegato veramente alle nostre vite anche perché il realismo è un fatto.

La trama

Lucky è un novantenne solitario del Texas. Non ha mai avuto moglie né figli e la sua vita è fatta di una routine ben precisa tra esercizi di yoga, giochi a premio alla tv, tazze di caffè e chiacchiere con amici in una piccola cittadina dove tutti si conoscono. La mattina dopo che il suo amico Howard, interpretato niente meno che da David Lynch, lo informa di come la sua testuggine fosse scappata, Lucky di colpo cade a terra.

Durante la visita medica seguente però, il dottore non riesce a riscontrare nulla di sbagliato in Lucky nonostante continui a fumare un pacchetto al giorno. Nonostante ciò, l’accaduto fa scattare qualcosa in Lucky che inizia a rendersi conto che nulla è permanente e che non gli manca ancora molto da vivere, come se la caduta fosse stato un avvertimento che nonostante la sorprendente condizioni fisica per la sua età, l’inevitabile potrebbe accadare da un momento all’altro.

Trascendenza in silenzio

Lucky è un film fatto di silenzi, di sguardi. Il regista gioca col mondo del detto e del non detto in maniera eccelsa al suo debutto dietro la macchina da presa dimostrandosi un grande regista oltre che un grande attore. Oltre che di ciò il film è fatto anche di immagini e visioni, nonché di una estetica ben precisa identificata proprio nel protagonista e nell’immortale Herry Dean Stenton. Ironico e forse scritto nelle stelle proprio il destino che toccherà all’attore dopo il film.

Lucky ci parla doi un viaggio trascendentale verso la morte, una sorta di preparazione per l’inevitabile. La storia di un anziano in tutto e per tutto, una vita lenta con una narrazione lenta, fatta di quotidianità e punti di riferimento a cui possiamo appoggiarci nell’assurdo della vita. Un viaggio spirituale alla ricerca di un nuovo inizio, perché non è mai troppo tardi per ricominciare.

Spiritualismo solitario

Dal momento in cui Lucky ha quella caduta è come se gli si aprisse una porta dentro di lui mai sfondata prima. La paura, paura della morte, di vivere coi giorni contati, paura che nulla abbia un senso e che tutto sia vacuo in quanto finito e mortale. Una vera e propria crisi esistenziale che colpisce Lucky in un momento assai delicato. La presa di coscienza dell’imminente fine e dell’incertezza della giornata però fa anche scattare una rinascita nel protagonista.

Per Jean-paul Sartre era l’engagement la soluzione all’insofferenza e alla mortalità della vita, un impegno in una causa universale che ci sprigionasse dalle catene della libertà. Per Kierkegaard era invece la vita allo stadio religioso, ovvero il tuffo nell’assurdità nella vita attraverso la fede cieca in qualcosa di superiore, per lui, la religione. Lucky, invece, ci insegna semplicemente a vivere, sorridendo.

 

Filippo Maulicino

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