L’ultimo turno è una coproduzione Svizzera-Germania che si pone l’obbiettivo di denunciare le condizioni di lavoro attuali in un determinato settore.
Carenza di personale, mancanza di comunicazione, aggressioni al personale medico e differenze di classe sono tutte caratteristiche che oggigiorno descrivono perfettamente l’ambiente di lavoro nel settore ospedaliero.
Il lungometraggio di Petra Volpe ha l’ambizione di denunciare questa insostenibile situazione. Ci sarà riuscita? Ora lo vediamo con calma.
Ci troviamo in un ospedale statale svizzero, in particolare durante il turno pomeridiano di un’infermiera di mezza età. Il film ci mostra quasi in tempo reale l’andamento del suo turno di lavoro. Durante la giornata si presentano diverse situazioni spiacevoli e la nostra protagonista dovrà risolverle quasi da sola. Infatti durante il turno, a causa dell’eccessiva carenza di personale, ci sono solamente due infermiere più una studentessa che fa il suo tirocinio. L’infermiera dovrà quindi riuscire a gestire tutte le situazioni e soprattutto dovrà gestire l’ansia e la tensione dovute allo stress lavorativo.
Possiamo subito dire che la regia del film funziona alla grande. La tensione è gestita veramente bene e lo spettatore è completamente immerso nel racconto. Nonostante l’apparente semplicità della sceneggiatura, L’ultimo turno risulta in realtà molto complesso per quanto riguarda la messa in scena. I lunghi e complessi piani sequenza e gli articolati long take dimostrano una sapiente gestione dei tempi e degli spazi.
In particolare, la messa in scena raggiunge perfettamente l’obbiettivo di far immergere lo spettatore nel massacrante turno di lavoro. L’altro fondamentale obbiettivo, ossia quello di mettere a nudo e denunciare le condizioni lavorative negli ospedali europei, viene anch’esso raggiunto grazie alla regia e alla scrittura della pellicola. Esse risultano perfettamente funzionali agli obbiettivi prefissati e i risultati sono evidenti.
La suddivisione non dichiarata in tre atti contribuisce a rendere più umano il personaggio protagonista. Leonie Benesch (La sala professori, 2023) interpreta benissimo la nostra infermiera in cui tutti ci siamo immedesimati già dal primo minuto di film.
Nel primo atto assistiamo alla crescita della tensione dovuta alle varie situazioni, l’agitazione si accumula all’interno della protagonista fino a diventare quasi insostenibile. Nel secondo atto assistiamo alle conseguenze di questo accumulo. La tensione esplode e l’infermiera non è più passiva ma reagisce anche in modo brusco. Le risposte nei confronti dei pazienti più arroganti ed egoisti, ma anche verso gli errori della tirocinante, iniziano a diventare sempre più sgarbate e meno rispettose. Nel terzo atto assistiamo invece a un recupero dell’umanità del personaggio. L’infermiera si rende infatti conto, essendo una buona persona nell’animo, di trovarsi di fronte a pazienti che in molti casi stanno per morire e quindi il loro comportamento è dettato dalla paura.
Nella parte finale la protagonista ristabilizza tutti i rapporti con le altre persone che aveva inclinato del secondo atto.
Risultano ben scritti anche tutti i personaggi dei vari pazienti.
Sebbene alcuni momenti risultino leggermente forzati ed è evidente che la regista abbia voluto raccontare la peggior situazione possibile che per fortuna non rappresenta la quotidianità, il risultato finale è indubbiamente efficace. La tensione funziona, la regia è ben curata e la scrittura dei personaggi è di alto livello.
Un film da vedere per rendersi conto del modo in cui i nostri governi sperperano il denaro pubblico invece che investirlo sulle situazioni veramente di rilievo.
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