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Mothers’ Instinct, memorie di un’occasione persa
Mothers’ Instinct riprende le fila del cinema thriller degli anni Sessanta, ma l’eredità storica pesa come una spada di Damocle e non riesce a reggerne il peso.
Benoìt Delhome non è di certo un nome sconosciuto al mondo del cinema: la sua carriera, infatti, è costeggiata da successi, da One Day a La teoria del tutto; produzioni in cui ha eseguito il ruolo di direttore della fotografia. Per la prima volta Delhome arriva sul grande schermo e lo fa in pompa magna, assoldando infatti due delle attrici più richieste di Hollywood (anche produttrici del film) e Juliette Welfing per il montaggio della pellicola (che ha lavorato – tra gli altri – per il film Emilia Pérez di Jacques Audiard). Insomma: gli elementi giusti per un capolavoro, almeno sulla carta, perché poi nella resa finale Mothers’ Instinct si perde nel buco nero del già visto, del già sentito e, a tratti, dello scadente.
Ce ne voleva a tirare fuori questa incrinatura nella carriera di Delhome viste le premesse da cui partiva, ma di certo non sarà questa a ostacolarne gli sviluppi. In Mother’s Instinct il regista riprende le trame e i fili nascosti di Alfred Hitchcock, citandolo più volte, incastrandosi a una contemporaneità stilistica stridente, in un mescolamento confuso di ciò che è e ciò che avrebbe potuto essere.
La pellicola confonde dramma, noir e thriller e nessuno di questi generi sembra prendere davvero la scena, neanche nel suo mescolamento, neanche nella sua estrema tragedia, neanche nei suoi acuti punti di svolta. In questi termini possiamo spingerci a riflettere su un film che non voleva essere una rivelazione, ma un modo per affacciarsi all’inesplorato, per mettersi alla prova e vedere quali sono le briglie giuste da tirare: un esercizio di stile direbbe qualcuno, ma non lo è.
Delhome si pone con l’estrema grazia e umiltà di chi ha alle spalle anni di carriera nell’ambiente cinematografico e, proprio per questo, ha deciso di provarci. A piccoli passi.
Mothers’ Instinct, che brutta fine gli anni sessanta
Il film, utile ricordarlo, è un remake del film Doppio sospetto di Olivier Masset-Depasse (adattamento, a sua volta, del romanzo Oltre la siepe di Barbara Abel). Inizialmente il remake era stato affidato allo stesso regista, ma alcuni problemi di produzione hanno portato Delhome alla direzione del progetto. La storia segue parallelamente la vita di due donne, entrambe ex lavoratrici che per adempiere alla loro carriera di mogli e madri hanno rinunciato alla carriera lavorativa.
Tuttavia, Alice (Jessica Chastain) e Celine (Anne Hathaway) sembrano reagire alle proprie rinunce in maniera diversa. Si gioca la dinamica del doppleganger: in cui le sfumature identificatrici dell’una e dell’altra si confondono, i confini sono labili e poi, improvvisamente, nettissimi. Le due amiche si confrontano continuamente sui loro ruoli e sulle loro rinunce, specie Alice che sottolinea le sue mancanze. Ma nel mondo di Delhome – che è il mondo americano degli anni Sessanta – non c’è spazio per le insolite richieste di emancipazione da parte di una donna, a cui sono attribuite formalmente (e anche subdolamente) determinate aspettative.
Alle donne non è concesso avere dubbi sulla maternità, sul loro ruolo nella società, sull’ordine sociale prestabilito. Alice accusa, peggio di Celine, la cultura occidentale degli anni sessanta, ma trova nell’amica un porto sicuro, una sorella – addirittura – su cui fare affidamento. Il patto tra le due sembra sgretolarsi in seguito a un incidente che coinvolge il figlio di Celine: da qui una lenta ma inesorabile discesa verso lo svelamento dei non detti. In un continuo rimpallo di colpe,
Alice e Celine daranno vita a un gioco sadico di accusa e colpa, in cui le verità date per certe troveranno terreno fertile nelle paranoie e, infine, nel durissimo scontro con i propri, veri o falsi, deliri di onnipotenza. La morte è perdita e acquisizione di potere, l’importanza di chi muore sfuma lentamente nel desiderio di essere qualcosa che si è stati costretti a essere o che, nel caso di Celine, si è sempre desiderato essere, ma che non si è potuto essere.
Peccato che, nel corso dell’intricata trama, la storia perde il mordente che promette di avere: non bastano la cura al dettaglio, le retromanie anni cinquanta o le inquadrature pulite, perfette e al limite del maniacale. Ciò che conta è la resa di una storia che non ha punti di svolta, se non quelli che ci si aspetta abbia, a causa dell’incredibile corredo storico che pende sul suo collo come una spada di Damocle.
Vediamo cosa è andato storto
Ovviamente Hitchcock ha gettato le fondamenta di un cinema che oggi ne tira le somme: il maestro del giallo ha fatto scuola e nessuno può tirarsi indietro dal confronto. Tuttavia, oggi, la contaminazione dei generi permette di trovare degli interessanti spunti di riflessione proprio a partire da questi incroci. Ne sono testimonianze evidenti film come Prisoners (Villenueve, 2013), Gone Girl (Fincher, 2014) o Watcher (Okuno, 2022); che sono solamente alcune delle pellicole che hanno saputo riprendere le redini di generi del passato e accostare a essi un taglio estremamente autoriale.
Ovviamente non si intende accostare l’opera prima di Delhome con quella di altri artisti affermati nel ruolo di direzione ed è molto utile considerare, in questo senso, Mothers’ Instinct come un esercizio stilistico in cui il suo “giovane” autore si mette alla prova.
Rimane la delusione di non sapere se la sperimentazione avrebbe potuto portare in un territorio meno facile, ma più affascinante. Giocando sul sicuro Delhome porta a casa un film fatto di già visti e già sentiti all’interno di un’industria che pretende e può avere di meglio e di più. Non siamo andati avanti per vederci tornare indietro di sessant’anni, anche perché le narrazioni che funzionavano in un determinato periodo storico non possono comunicare allo stesso modo in questo: sono lontani gli anni in cui proliferavano i film senza tempo.
Da qui, una domanda: perché abbiamo bisogno di parlare al passato quando potremmo parlare al presente? Che senso ha raccontare gli anni sessanta come sarebbero stati raccontati negli anni sessanta? Mothers’ Instinct è un film che gioca sul sicuro e, per questo, perde perché nel grandissimo ingranaggio della produzione multimediale contemporanea vince sempre chi rischia.