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Non Aprite Quella Porta, la recensione del cult del 1974
La crudezza, la violenza e l’iconico Leatherface hanno segnato milioni di cinefili. Non Aprite Quella Porta è al suo 50° anniversario e mantiene il suo fascino.
Nel 1974, Tobe Hooper ha diretto un film destinato a sconvolgere il panorama cinematografico horror. Non Aprite Quella Porta (The Texas Chainsaw Massacre), con un budget ridotto e un cast di attori sconosciuti, è un’opera che ha ridefinito il genere slasher. Non solo, ha anche destabilizzato il pubblico con la sua incontrollabile violenza. Tuttavia, nonostante il film sia un capolavoro del cinema horror, le nuove generazioni potrebbero trovarlo datato e difficile da comprendere.
Il terrore e la semplicità di Non Aprite Quella Porta
Marilyn Burns, interprete di Sally Hardesty, Gunnar Hansen, il brutale Leatherface e il resto del cast interpretano personaggi immersi nella violenza e senza scappatoie. La trama è incredibilmente semplice ed efficace. Infatti, si concentra su un gruppo di amici che si imbatte in una casa abitata da una famiglia squilibrata. Questo espediente lineare è ciò che rende il film terrificante e molto vicino alla realtà.
Non a caso, Tobe Hooper si è ispirato alla figura di Ed Gein, un serial killer esisto veramente. Infatti, la pellicola si sofferma sulla costruzione di una tensione palpabile attraverso un’atmosfera opprimente. L’uso di effetti speciali costosi è pari a zero e il minimalismo presente rende il tutto credibile. La narrazione potrebbe apparire lenta e poco dinamica, ma questo è un problema solo per i troppo abituati ai ritmi forsennati degli horror moderni.
Una violenza cruda e provocatoria
Uno degli elementi che ha reso Non Aprite Quella Porta così scioccante è l’approccio di Tobe Hooper alla violenza. Pur mostrando meno gore rispetto ad altri film slasher, la brutalità percepita è amplificata dal suono della motosega e dalle urla. Tutta la parte finale è angosciante, poiché le grida esplodono come rappresentazione della totale disperazione dei personaggi.
Si tratta di un focus sulla follia umana che provoca lo spettatore e lo fa riflettere su un’America guerrafondaia. La performance di Gunnar Hansen come Leatherface, con la sua maschera fatta di pelle umana, è diventata un’icona del terrore. Tuttavia, per chi è cresciuto con horror più espliciti e sofisticati, le scene di violenza potrebbero sembrare meno impressionanti e datate.
Non Aprite Quella Porta ha un’atmosfera vincente e oppressiva
La forza di Non Aprite Quella Porta risiede anche nella sua atmosfera oppressiva. Le scene sono permeate da una costante sensazione di disagio e isolamento, accentuate dalla fotografia granulosa di Daniel Pearl. Girato in modo quasi documentaristico, il film evoca una realtà brutale e disturbante.
I suoni stridenti e disturbanti, come il ronzio delle mosche o il ruggito della motosega, creano una tensione insopportabile. Questa estetica, così diversa dagli horror lucidi di oggi, può risultare estranea e lontana da un linguaggio visivo più patinato e meno grezzo.
Le origini di un genere che ha fatto la storia
Se oggi il genere slasher è costellato di cliché, molti di questi hanno origine proprio in questo film. L’idea della final girl, il killer mascherato e l’ambientazione marcia sono elementi che Hooper ha cementato nel linguaggio horror.
Tuttavia, film come Scream o Halloween hanno sviluppato queste idee con una maggiore profondità psicologica e effetti visivi più sofisticati. Non Aprite Quella Porta è il capostipite dei grandi successi contemporanei, ma può risultare troppo ancorato agli anni ’70.
Un horror soggetto all’erosione del tempo
Nonostante le sue apparenti limitazioni tecnologiche e narrative, Non Aprite Quella Porta rimane un capolavoro indiscusso del mondo horror. L’approccio visivo e il sonoro disturbante sono gli ingredienti fondamentali di un’opera molto influente e controversa.
Se per i giovani spettatori di oggi può sembrare un film vecchio, è innegabile che l’impatto che ha avuto sul cinema dell’orrore sia ancora forte e duraturo. Non Aprite Quella Porta non è solo un film da guardare, è un’esperienza da vivere e da studiare.