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Steve, la recensione su Almanacco cinema
Arriva su Netflix il nuovo film di Tim Mielants con Cillian Murphy dal titolo Steve, dramma sociale crudo e sincero dallo stile documentario.
Netflix torna ad alzare l’asticella grazie a una coppia che negli ultimi due anni ha consolidato la sua alchimia. Il regista belga Tim Mielants e Cillian Murphy tornano insieme dopo il dramma storico Small Things like These, uno dei film più apprezzati della scorsa stagione cinematografica (leggi la nostra recensione).
Anche per Steve Mielants parte da un romanzo, Shy, scritto da Max Porter e da lui stesso adattato per il cinema. I due autori portano lo spettatore all’interno di un istituto per ragazzi con problemi comportamentali nella Cornovaglia del 1996. Cillian Murphy, che figura anche in veste di produttore, è il preside della scuola, uomo devoto ma stremato, che affronta in piena tempesta anche una crisi personale.
Immerso nel clima tipico del cinema sociale inglese, Steve, con lo stile asciutto e brutale del documentario e qualche variazione creativa, è un racconto commovente che non risparmia allo spettatore i lati più oscuri dell’universo in cui si addentra ma che riesce a mantenere accesa la luce della speranza.
Steve, la trama
Steve (Cillian Murphy) dirige con costanza e audacia Stanton Wood un istituto che rappresenta una seconda chance per ragazzi che hanno avuto problemi comportamentali. Il film scandisce con brevi ellissi un giorno particolare all’interno della scuola, quello in cui una troupe è pronta a fare alcune riprese in vista di un notiziario.
Tra il tentativo di risolvere vecchie questioni, nuovi scontri tra i ragazzi, la troupe, e la visita poco gradita di un noto politico, Steve vive una perenne emergenza che sembra sfiancarlo e metterlo a dura prova dal punto di vista psicofisico.
I ragazzi di Stanton Wood e il loro preside
Steve è il preside dell’istituto, centro burocratico, emotivo e organizzativo dell’universo di Stanton Wood. È solo apparentemente in controllo di ogni situazione, ma ha dalla sua due alleate fondamentali. La prima è la sua capacità di comunicare attraverso la parola. In un clima spesso violento che lascia ai corpi la manifestazione di bisogni e fastidi, Steve è in grado di sedare crisi e tranquillizzare i ragazzi con il mite e pacato uso della parola. La seconda alleata è la sua capacità di guardare oltre. Steve osserva, scruta, coglie in anticipo malumori e paure, ma soprattutto riesce a dimenticare il passato burrascoso dei suoi ragazzi provando a restituirgli con i suoi occhi delicati la speranza di presente che vale la pena vivere.
Con qualcuno i suoi tentativi funzionano: Riley e Jaime, per esempio, cedono e si lasciano affascinare dalla saggezza dell’uomo. Questo non vale per Shy. Il giovane, che vive una situazione di profondo disagio psicologico, combatte silenziosamente contro la sensazione di abbandono che comprensibilmente lo pervade. È lui a rappresentare per tutti la sfida più difficile ma necessaria.
Lo stile di Steve
Quando un’opera è ambientata in spazi turbolenti, con un grande carico dinamico ed emotivo, la regia spesso si affida a uno stile documentaristico, servendosi di piani sequenza e macchine a mano. Accade spesso quando si entra negli ospedali (E.R. è esempio calzante), ma anche nelle scuole. La classe, Palma d’Oro a Cannes nel 2008, parte, infatti, proprio da tale premessa stilistica.
Mielants spinge violentemente lo spettatore tra i corridoi di Stanton Wood restituendo la concitazione, il senso di allarme, ma anche il sospiro di sollievo che segue il fuoco appena spento. La macchina a mano, tipica dello stile documentario, è messa poi al servizio della rappresentazione del caos emotivo e psichico di Steve.
Sul finale la regia si fa meno realistica e più simbolica per assecondare e accompagnare con coerenza l’inquietudine distruttiva di Shy e il suo straniamento da una realtà in cui sembra non trovare più un posto sicuro.
Modalità di crisi permanente
Con queste parole il film a un certo punto descrive la vita di Steve e delle altre figure che hanno scelto, con responsabilità e coraggio, di lavorare a Stanton Wood. La vicepreside Amanda (Tracey Ullman), la professoressa Shola (Little Simz), la psicologa Jenny (Emily Watson) e lo stesso Steve si muovono su un terreno minato, ma fragile e bisognoso di cura. Disinnescano crisi, e si mettono al servizio di un contesto in cui l’impegno è massimo e il risultato è grande solo se si è capaci di vederlo davvero.
Se da un lato, infatti, il film sottolinea con ammirazione i tentativi di queste figure di dare a questi ragazzi la possibilità di riabilitarsi, mette in luce anche l’ipocrisia e l’arroganza della politica. Stanton Wood, Shy, Riley e tutti gli altri ragazzi che la abitano sono considerati un peso da chi detiene il potere, un inutile capitale investito che non porta frutto.
Ma non è proprio con ragazzi come questi che la scuola trova il vero valore della sua esistenza? Il personaggio di Silvio Orlando nell’umoristico ritratto dell’istituzione scolastica che è il film La scuola di Daniele Luchetti dice con amarezza che “la scuola funziona solo con chi non ne ha bisogno”. La scuola, infatti, anche nella narrazione contemporanea portata avanti dai media, sembra essere lodata solo quando porta in luce esempi di merito nella sua accezione più comune ma meno profonda, voti alti, record e grandi risultati accademici.
La sceneggiatura di Max Porter invita lo spettatore a riflettere su questo aspetto, evidenziando che è proprio laddove tutto sembra perduto che la scuola può fare davvero la differenza.
In conclusione
Steve è un’opera di cui si sta parlando poco ma che meriterebbe più luce soprattutto per l’attenzione che pone al tema della salute mentale. Con uno stile elaborato ma efficace nel bilanciare l’equilibrio emotivo del film, una sceneggiatura asciutta e concreta, e un cast a fuoco, è una delle uscite migliori su Netflix degli ultimi mesi.
A brillare (e ormai non è più una novità) è Cillian Murphy, che risulta convincente alla sua ennesima prova con un personaggio complesso e stratificato. L’attore è magnetico nel dare vita a un uomo mite nella sua disperazione, pieno di dignità, che sfiora il baratro in uno slancio altruistico quasi miracoloso.
Tim Mielants porta in scena una storia che riflette sulla capacità di guardare oltre, sul bisogno di investire tempo, soldi, e impegno per aiutare coloro la società vorrebbe già ai margini, per provare a restituire fiducia a chi crede che a vent’anni sia già troppo tardi.
Steve è disponibile dal 3 ottobre in abbonamento su Netflix, e noi di Almanacco Cinema ne consigliamo la visione.