Successor, ovvero The Truman Show in un quartiere cinese

Successor di Peng Damo e Yan Fei, visto in anteprima europea al FEFF27, è stato il maggior successo cinese del 2024 con oltre 3 miliardi di yuan di incasso.

Il film rappresenta un’enorme critica alla mania del controllo e alla programmazione dettagliata delle vite dei cittadini che avviene in Cina, ma anche nel resto del mondo. I riferimenti a The Truman Show (Peter Weir, 1998) sono innumerevoli ma il film avrà saputo reggere il confronto con quel grande film oppure si tratta solamente di un’interessante esperimento fallito? Vediamolo con calma.

Successor, di cosa parla?

Questa volta al FEFF27 ci spostiamo in uno dei quartieri più poveri della Cina. Dopo un intervento del governo quasi tutte le famiglie sono riuscite a uscire dalla povertà assoluta ad eccezione di una, quella del piccolo Jiye. Il ragazzino crede di essere il più povero di tutti ma non immagina nemmeno di avere, al contrario, due miliardari come genitori. Essi infatti temono che il ragazzo cresca troppo viziato e per dargli una giusta formazione affinché un domani possa guidare l’azienda di famiglia, decidono di fargli credere di essere poverissimo e di vivere in una casa semidistrutta.

Quasi tutti gli abitanti del quartiere sono degli attori pagati dai genitori di Jiye, dal fruttivendolo al vigile, dal macellaio ai vicini di casa. Tutto funziona quasi alla perfezione fino a quando, crescendo e iniziando a maturare i propri interessi e le proprie inclinazioni, il giovane inizia a sospettare qualcosa.

Contro la vita programmata in ogni singola azione

La critica fondamentale di Successor è diretta al sistema cinese che regola la vita dei suoi cittadini. In molti casi le situazioni rappresentate valgono in realtà anche per il resto del mondo. Quante volte infatti assistiamo a scontri genitori-figli perché i secondi hanno inclinazioni o aspirazioni diverse da quelle desiderate e programmate dai primi.

Il padre di Jiye desidera che il figlio segua le sue orme e gli succeda alla direzione dell’azienda da lui fondata. Peccato però che la sua passione sia invece la corsa a livello agonistico. Il ragazzo vorrebbe un domani gareggiare alle Olimpiadi ma il suo sogno è destinato a essere infranto con uno stratagemma veramente vergognoso.

Quante volte scegliamo liberamente e quante invece lo facciamo per non deludere qualcuno? Come vengono influenzate le nostre decisioni quotidiane? Siamo veramente liberi? Queste sono le domande che si pone il film e a cui viene data una risposta chiara e inequivocabile.

L’elemento di forza del film è però il fatto che questi concetti vengono trattati in chiave di commedia. Si ride, e parecchio, e i tempi comici sono azzeccati alla perfezione. La pellicola non cade mai nel demenziale surreale ma rimane sempre nel giusto equilibrio. La durata totale è di 133 minuti, tutti importanti, e non pesano minimamente allo spettatore.

Successor, in conclusione

Infine, Successor è un bellissimo inno alla libertà. Essa non consiste solamente nel fare ciò che si vuole ma esige la possibilità di fare delle scelte senza influenze e soprattutto senza un continuo e insopportabile controllo e giudizio degli altri.

Grande film, grande sceneggiatura, grande concetto. Da vedere.

Davide Perin

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