La diseducazione di Cameron Post, la recensione

The Miseducation Cameron Post, in italiano La diseducazione di Cameron Post, è stato presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma del 2018.

Tratto dal romanzo di Emily M. Danforth, La diseducazione di Cameron Post è diretto da Desiree Akhavan, regista newyorkese di origini iraniane, considerata una delle voci più originali e intense della scena indipendente internazionale.

La diseducazione di Cameron Post ha consacrato Chloë Grace Moretz, vincitrice del Sundance Film Festival, come una delle migliori giovani attrici del cinema americano.

Il film ha inaugurato il programma Tutti ne parlano alla tredicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, arrivata quest’anno alla diciannovesima edizione (qui un approfondimento).

Fuggire per essere sé stessi

Siamo nella Pennsylvania degli anni Novanta, Cameron Post (Chloë Grace Moretz) ha 16 anni e sa perfettamente qual è il suo orientamento sessuale. Al ballo scolastico si apparta con la sua migliore amica con la quale ha una relazione segreta ma, viene scoperta dal fidanzato.

Cameron, cresciuta con la zia Ruth perché orfana, viene spedita in una comunità di riabilitazione cristiana per volere della zia. Lo scopo del God’s Promise Camp è quello di estirpare la tendenza a qualsiasi atto peccaminoso contro natura. Convinti che l’omosessualità sia una malattia da guarire.

Nel campo si fanno canti rivolti all’Altissimo e i ragazzi sono seguiti da psicologi convinti di poter estirpare questo male. Ma Cameron fa amicizia con Jane Fonda (Sasha Lane) e Adam Red Eagle (Forrest Goodluck), anche loro scettici nei confronti del campo. Ad avvicinare i tre ragazzi è soprattutto un forte senso di ribellione.

Il progetto del campo è basato sulla repressione del proprio essere dei ragazzi. Infatti, la compagna di stanza di Cameron Erin (Emily Skeggs), super convinta del programma, una notte cede alle sue voglie e bacia Cameron.

Sempre all’interno del God’s Promise Camp, un ragazzo di nome Mark (Owen Campbell), ritenuto troppo effemminato dal padre, scopre di dover prolungare la sua permanenza in quel luogo. Decide così, una notte, di mutilarsi i genitali. Il personale decide di non divulgare ai ragazzi l’accaduto.

Quando Cameron viene a scoprirlo e non trova risposte al perché nessuno stia dando maggiori attenzioni a Mark, insieme ai suoi tre amici decide di scappare e lasciare definitivamente il God’s Promise Camp.

Ironia in La diseducazione di Cameron Post

Nonostante il contesto drammatico, La diseducazione di Cameron Post riesce a mantenere un costante clima di ironia. All’interno del campo religioso, Cameron e i suoi amici riescono a sopravvivere e a salvarsi grazie proprio all’ironia.

In questo racconto di autoaffermazione e crescita, a differenza di altri film ambientati in comunità di recupero, per Cameron non esiste questa possibilità. La detenzione è una scusa che accresce la consapevolezza di chi è veramente.

Un esplicito riferimento va al film Qualcuno volò sul nido del cuculo, inserendosi non nel genere drammatico bensì in quello dei film di reclusione, dove in questo caso i pazienti sono l’anello debole.

L’omosessualità non è una malattia, il problema sono le persone che pensano sia tale. Desiree Akhavan riesce a parlare ad un pubblico più giovane di un tema tanto delicato. Questo perché lo fa con la leggerezza di un adolescente.

In conclusione

Un film senza dubbio da recuperare. Mai morboso bensì un gioiello presentato, ai tempi, alla Festa del Cinema come non se ne vedono da un po’.

La forza di La diseducazione di Cameron Post non risiede nei tecnicismi ma nella regia. Racconta una storia potente che, nonostante i personaggi non affrontino un arco di trasformazione, è un grido di denuncia. Non è difficile non rispecchiarsi in Cameron, costretta in un mondo di ingiustizie.

Ed è altrettanto difficile non provare compassione per chi lavora nel God’s Promise Camp, anch’essi vittime di una visione ottusa, che per anni è stata dominante.

Lo scopo di La diseducazione di Cameron Post non è solo quello di accettarsi, ma pretendere di rimanere chi siamo.

Sara Norelli

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