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Troppo azzurro, la recensione dell’esordio di Barbagallo
Troppo azzurro, l’esordio del regista Filippo Barbagallo, parla alla sua generazione di dubbi e insicurezze. Scopriamo insieme la recensione del film.
Troppo azzurro, la trama
Dario, 25 anni, è aggrappato al suo equilibrio adolescenziale. È indeciso su tutto, anche su come passare il suo agosto romano. Alla fine decide di restare a casa e passare il tempo con lo stesso gruppo di amici dai tempi del liceo, fra giri in motorino e partite alla playstation.
L’equilibrio si rompe quando inizia a frequentarsi prima con Caterina, una ragazza conosciuta per caso, e poi con Lara, la ragazza “irraggiungibile” che ha sempre amato, dovrà scegliere se restare nella sua comfort zone o lasciarsi finalmente andare.
Un sogno di felicità
Troppo azzurro è il sogno di felicità che Dario (interpretato dallo stesso Barbagallo) costruisce costantemente nella sua testa, troppo bello da raggiungere, un sogno che vissuto davvero avrebbe conseguenze incontrollabili.
In effetti, per Dario è tutto troppo. È troppo partire per Rimini con Caterina, andare a Lisbona con Lara, è troppo gestire una lite, o anche solo pensare di doverne affrontare una. La rinuncia è sicura, confortevole, e vince sempre sull’azione. Meglio dormire e aspettare che il domani sistemi le cose.
Il letargo di Dario, evidenziato più volte nel film, può sembrare un connotato come tanti ma c’è molto di più. Rifugiarsi fra le coperte così da non agire in alcun modo. Anche quando si tratta di rispondere ad un messaggio il protagonista sceglie di rifugiarsi sotto le coperte. E così, per tutta la pellicola, vediamo il protagonista con spalle e mascella serrate, in un corpo pieno di nevrosi che vorrebbe esplodere ma che non ce la fa.
Strizzando l’occhio a Celentano
Troppo azzurro strizza anche l’occhio ad Azzurro, la celebre canzone di Celentano, soprattutto se si considera una particolare strofa: “Lei è partita per le spiagge e sono solo quassù in città”, proprio come Dario, rimasto solo nella sua casa a Roma con Caterina che lo invita per il mare; “io quasi quasi prendo il treno e vengo da te, ma il treno dei desideri nei miei pensieri all’incontrario va”, il treno per raggiungere Caterina che il protagonista non riuscirà a prendere.
La sceneggiatura del film è incredibilmente spontanea. I dialoghi di alcune scene, soprattutto quelle che coinvolgono le chiacchiere fra amici, sembrano essere spiati e poi trascritti dagli stralci di vita dell’autore. Sebbene alcune volte la quantità delle scene rischi di spezzarne il ritmo, la messa in scena risulta comunque credibile e piena di qualità.
Troppo azzurro, il felice esordio di Filippo Barbagallo
Il debutto di Filippo Barbagallo è pieno di ispirazioni, da Troisi ai primi film di Verdone, fino al confronto con la poetica tipicamente naif di Moretti che il regista tenta di revisionare in chiave contemporanea.
Il risultato è una commedia leggera, ma non priva di momenti pieni di realizzazione che il pubblico in sala può fare propri. Filippo Barbagallo, proprio come nel finale simbolico del suo protagonista, sceglie di tuffarsi dal trampolino, regalandoci delle ottime aspettative.
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