Tusk, avete mai visto un uomo tricheco?

Tusk di Kevin Smith compie dieci anni e ha al centro del suo racconto le vicende di un essere alquanto particolare: un ibrido tra un uomo e un tricheco.

Non siamo però di fronte né a un supereroe né a una qualche tipologia di malformazione fisica. Si tratta invece del delirante esperimento di un serial killer completamente pazzo. Chi avrebbe potuto pensare di realizzare un film di questo tipo? Ovviamente nessuno, ad eccezione di quel folle uomo che è Kevin Smith, l’autore di perle come Clerks (1994) o Red State (2011).

A questo punto la domanda è una sola: un film con un’idea trash come questa può essere un prodotto di qualità? Vediamo una cosa alla volta e forse alla fine sapremo dare una risposta.

Tusk, di cosa parla?

La storia raccontata da Tusk è quella di un conduttore radiofonico che gestisce un programma in cui vengono intervistate le persone più strambe e vengono raccontate le cosa più assurde che siano mai capitate in giro. Quando il nostro protagonista, Wallace, viene a conoscenza di un ragazzo che si è amputato accidentalmente una gamba con una katana, decide di andare subito a conoscerlo. Una volta scoperto che il ragazzo purtroppo è morto, egli viene incuriosito da un annuncio di un vecchio marinaio del posto che cerca compagnia per poter raccontare le avventure che ha vissuto.

Deciso a non tornare a casa a mani vuote, Wallace sceglie di andare a casa sua per conoscerlo ma molto presto si pentirà della sua decisione. Il vecchio marinaio infatti è un maniaco omicida che ha il bizzarro hobby di trasformare, attraverso delle attente operazioni chirurgiche, le sue vittime in trichechi.

Lo stile di Tusk

L’idea che sta alla base del film di Kevin Smith potrebbe benissimo essere un soggetto scritto per la Asylum o per la Troma, due case di produzione cinematografica specializzate nel trash a bassissimo costo. La difficoltà dei registi che si accingono a realizzare film di questo tipo è proprio riuscire a raccontare le vicende in modo realistico e serio. In caso contrario lo spettatore si rende conto immediatamente della tipologia di prodotto che si trova davanti e lo considera fin da subito di scarso livello.

La bravura di Smith è quindi quella di riuscire a realizzare il suo film con uno stile convincente e incredibilmente realistico. Nella prima metà della pellicola all’incirca, il tono adottato è quello da commedia horror, con situazioni grottesche e talvolta spaventose ma sempre con un velo di ironia e leggerezza che sorvola tutto. Quando però il protagonista del film viene drogato e perde i sensi, inizia per lui una discesa all’inferno che viene resa assolutamente seria e realistica. Pur mantenendo un tono abbastanza leggero, lo spettatore riesce seriamente a credere a quello che gli si presenta davanti agli occhi.

Lo stile è serio, credibile, ogni tanto si sorride ma sempre con l’amaro in bocca. Questa era la sfida più grande per questo film e Kevin Smith l’ha vinta.

I personaggi

Altro punto di merito va alla caratterizzazione dei personaggi. Entrambi quelli principali, il protagonista e il marinaio psicopatico, funzionano alla grande. L’antagonista funziona per via della sua malvagità e della sua follia che raggiunge però momenti di estrema lucidità. Lo spettatore rimane colpito dal cinismo e dall’apparente mancanza di emozioni nel modus operandi del killer, un pazzo furioso che riesce a mantenere dei momenti di elevata razionalità.

Per quanto riguarda Wallace, Smith riesce a raggiungere quello che forse è il principale obbiettivo di chi scrive dei personaggi: quello dell’immedesimazione da parte del pubblico. Soprattutto quando il processo di trasformazione volge al termine, noi spettatori non possiamo che metterci nei panni del malcapitato e chiederci in continuazione: “Se succedesse a me come reagirei?” Certamente la situazione che ci viene descritta è molto improbabile ma il regista la mette in scena come se fosse comunque una cosa possibile.

Menzione di merito va al finale del film in cui questa immedesimazione raggiunge il suo apice. Siamo di fronte a un epilogo straziante, estremamente drammatico, in cui il nostro protagonista sembra dare una risposta al quesito di noi spettatori. Egli dimostra infine di aver raggiunto un’enorme consapevolezza dell’accaduto e soprattutto un’invidiabile accettazione di sé. Questa probabilmente è la scena chiave del film che lo riesce a elevare nonostante il soggetto sia da film di serie Z.

In conclusione

Il film di Kevin Smith è indubbiamente imperfetto, la gestione dei tempi drammaturgici e della durata non sempre risulta delle migliori ma è certamente un film coraggioso. Tusk, nonostante tutto, merita una visione anche solo per aver provato, riuscendoci in parte, a raccontare in modo serio una storia che è trash alla base.

Un film coraggioso, un film sconvolgente, un film da vedere.

Davide Perin

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