In mezzo a pessimi sequel e reboot inutili e senza anima, Una pallottola spuntata soprende piacevolmente e compie un’operazione più unica che rara.
Nello stato attuale in cui versa il cinema e la sua industria totale, sono presenti diversi problemi che sono emersi ancora di più in tempi recenti. Mentre i film horror sembrano godere di un’originalità autoriale alquanto unica, alcuni settori specifici sono in profonda crisi, commerciale e idealistica. I blockbuster estivi sono brutti ed abbastanza piatti, ed i cinecomics sono piatti e sembrano essere oramai saturi – escluso Superman. E tutti sono film derivativi.
Ma c’è un genere che pian piano si è defilato dalle liste degli incassi e che ha goduto sempre meno dell’appoggio della critica specializzata, ma anche di un pubblico polarizzante che divide tutto in film d’autore o trash. La commedia. Anche l’eredità del prosperoso genere dei primi anni 2000, si è persa nello spazio woke. Ma, nel bel mezzo di questa crisi, esce un remake/reboot inutile, senza senso e perfetto: Una pallottola spuntata.
Una pallottola spuntata segue la storia del detective Frank Drebin Jr. – Liam Neeson che risplende dopo anni di nulla – figlio del tenente di polizia Frank Drebin, della squadra di polizia di Los Angeles. Il poliziotto si troverà suo malgrado immischiato in un caso molto particolare e pericoloso che rigurada un magnetto dell’elettronica, mentre dovrà di salvare la squadra di polizia stessa, salvare il suo amore e salvare sè stesso.
La pellicola funge sia da reboot, in quanto rilancia il franchise di Una pallottola spuntata con volti completamente nuovi, sia da parziale sequel della trilogia originale, visto che ne riprende luoghi e personaggi, seppur solo citati. La regia è di Akiva Schaffer, che è anche lo sceneggiatore insieme a Dan Gregor e Doug Mand. Accanto a Neeson, il cast è composto da Pamela Anderson, Paul Walter Hauser, Kevin Durand e Danny Huston.
Se c’è qualcosa che questo film rende chiaro da subito è che la comicità è un qualcosa da trattare molto seriamente e con profondo rispetto. Non si può pretendere solamente di scrivere qualche battutina per mandare avanti un film intero. In questo caso, Una pallottola spuntata è un continuo correre da una battuta all’altra, senza mai risultare scontato ma cercando di soprendere con gag imprevedibili.
Nonostante un paio di sequenze comiche già viste, il film non risulta quasi mai ridondante. La slapstick, il surreale, il non-sense riprendono perfettamente i toni dei primi film e quelli della commedia demenziale dei primi 2000, ma, con un impegno nella messa in scena e nella regia che sembra andare un pochino oltre il solito. Non sono solo scherzi hollywoodiani buttati su uno schermo. Il paragone con il primo è necessario ma stupido, forse dovremmo vedere questa pellicola più come un film alla Anchorman con l’impronta del trio Zucker–Abrahams–Zucker.
Non si può di certo dire che Una pallottola spuntata ed i suoi due successori siano al giorno d’oggi in linea con le ideologie vogliono controllare la società e l’insieme linguistico, ma allo stesso tempo non si è mai trattato di film esclusivamente scorretti. Così, allo stesso modo, anche in questo caso non si può inveire contro le gag del film nè tantomeno la sorprendentemente geniale sceneggiatura prova a provocare ed a farci storcere il naso.
Viviamo tutti nel mondo. E, a parte un paio di battute fuori tempo massimo, sarebbe stato impossibile non inserire richiami all’attualità, per esempio su Bill Cosby o sulla tecnologia. Ancora di più in un’opera quintessenziale del metacinematografico come questo, in cui ogni spunto vive nel film come nella realtà. E come per i punti precedenti, Neeson è il perno centrale affinchè tutto ciò fili lasci, e questo è lievemente anche un problema.
Come detto, Liam Neeson è stupendo e la sua serietà risulta perfettamente in linea con l’ambientazione del film. Ma, oltre ad un’eccezionale alchimia con la sua co-protagonista – ora qualcosa di più – per il resto del cast non c’è troppo spazio di manovra. Neeson mangia lo schermo, mentre negli originali George Kennedy ed O.J. Simpson riuscivano a destreggiarsi tra le fiamme sacre della performance del maestro Leslie Nielsen.
Ma comunque, va bene così. Perchè qui c’è anche una trama molto interessante: uno strambo magnate con la fissa del testosterone che ha fatto i soldi con le macchine elettriche. E che vuole conquistare il mondo facendo leva sull’istinto animale di rabbia delle persone. Vi ricorda qualcuno? Va via il tono pesantemente noir dei primi e l’importanza di Los Angeles, per rendere più accessibile al mondo intero la pellicola, che convince e che ha un’importante chiave di lettura anche politica. Ancora non ci sono notizie, ma speriamo che una nuova trilogia possa essere prodotta.
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