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Until Dawn – Fino all’alba. Dal videogioco al film
Until Dawn – Fino all’alba, riuscirai a sopravvivere alla notte? Il film diretto e co-prodotto da David F. Sandberg fa urlare la sala.
Until Dawn – Fino all’alba, come preannunciato (qui) è uscito nelle sale il 24 aprile 2025. Diretto da David F. Sandberg (regista di Lights Out) e scritto da Gary Dauberman e Blair Butler, è l’adattamento cinematografico dell’omonimo videogioco del 2015 di PlayStation Studios.
L’universo è lo stesso e l’incipit del film (per chi non ha giocato al gioco) segue tutte le fasi di un horror classico: un gruppo di amici in viaggio in onore di un componente scomparso, che si ritrova in una casa sperduta nel bosco dove contatti con il mondo esterno vengono a mancare.
Anche gli archetipi rispettano le basi classiche di qualsiasi film horror corale si rispetti. Ella Rubin, nel ruolo di Clover Paul, è la survival girl alla ricerca della sorella scomparsa Melanie (Maia Mitchell).
Michael Cimino è Max l’ex fidanzato di Clover. Odessa A’zion, Nina Riley, è la migliore amica ed è fidanzata con Belmont Cameli Abe, il bello ma stupido che cerca di integrarsi nel gruppo.
Ji-young Yoo, Megan, è la sorellastra di Max ed è la “vergine”: ossia colei che percepisce le presenze extraterrene.
Il saggio, ma allo stesso tempo l’antagonista, è Peter Stormare Dr. Hill. Sarà lui ad indicare ai ragazzi la strada verso la casa degli orrori nella quale Melanie, prima di loro, è stata.
Il loop temporale
Glore Valley è l’ultima città visitata da Melanie nel suo viaggio post perdita dei genitori.
Una pioggia torrenziale nel mezzo della foresta scoraggia il gruppo diretto verso la città, l’unico riparo è in un centro visitatori. La pioggia circoscrive il passaggio dal mondo ordinario a quello straordinario.
In casa non c’è nessuno ma, sul libro degli ospiti, sono iscritti dei nomi più volte e fra loro anche quello di Melanie.
La notte inizia, il tempo nella clessidra inizia a scorrere, il gruppo fa il primo errore da manuale in qualsiasi film horror: dividersi. Anche le morti si susseguono seguendo uno schema classico: il bello, il ragazzo di colore, la fidanzata, la vergine (che in questo caso non coincide con la protagonista) e la protagonista.
Un cortometraggio splatter se non fosse per il loop temporale. Una volta morti ricominciano il gioco dallo stesso punto. Le vite però non sono infinite, lo scopo è quello di superare la notte ed arrivare vivi fino all’alba.
Tredici è il numero massimo di nomi ripetuti prima che arrivi l’ospite successivo. E mentre le loro vite diminuiscono, la notte incombe e la casa piano piano sprofonda mostrandoci la vera Glory Valley.
Da un normale loop temporale, tutti ci aspettiamo che gli eventi si ripropongano allo stesso modo, ma non è questo il caso. Ogni notte i ragazzi muoiono in maniera diversa per mano dei wendigo: creature maligne che fanno parte della notte.
Il product placement della Sony e la soluzione di Until Dawn
Nei titoli di testa veniamo assaliti da questa gigantesca scritta Sony e, insieme a quella di PlayStation, certamente alzano le aspettative sulla qualità del prodotto. La storia può essere banale ma la resa visiva almeno è di qualità.
In questo caso però la Sony diventa parte integrante della narrazione. Mentre scendiamo nella caverna più profonda e scopriamo il passato di Glory Valley, anche gli strumenti tecnologici retrocedono.
Grazie ad una videocassetta, i ragazzi trovano un vecchio televisore Sony con il VHS integrato e scoprono la storia del mondo straordinario in cui si trovano.
La cittadina sprofondò nel terreno dopo un disastro minerario che uccise centinaia di persone. Hill, l’uomo che gli aveva indicato la strada, in realtà è un dottore che fu chiamato per fare da terapista ai sopravvissuti.
Vediamo come nei suoi esperimenti trasforma gli ospiti della struttura in wendingo dopo la tredicesima notte. Fra loro c’è anche Melanie, diventata ormai parte della notte, ma sarà proprio Clover a sconfiggerla risolvendo anche il suo conflitto interiore.
Il boss finale da battere è il Dr. Hill. Giunti quasi al limite delle notti a disposizione, i ragazzi si accorgono dell’assenza di Megan.
Ancora una volta la tecnologia diventa un deus ex machina, i telefoni non hanno linea per chiamare ma hanno fotocamere per filmare. Abe, infatti, sul suo telefono ha un recup delle notti passate, utile per scoprire che fine ha fatto Megan e a darci una carrellata delle atrocità avvenute.
Megan una notte finge di morire, prende il telefono di Abe e filma ciò che avviene quando il set viene ripristinato. Appena Hill esce dalla stanza lei lo segue nella caverna più profonda.
Il gruppo ora ha tutti gli strumenti per sopravvivere alla notte. Trovano Megan, Hill muore attraverso l’acqua contaminata per la quale erano morti la seconda sera e finalmente vedono l’alba.
La risposta della sala
Da appassionata del genere horror e splatter, posso dire che Until Dawn ha piacevolmente soddisfatto le mie non aspettative.
Gli ultimi film di genere usciti nelle sale sono sempre risultati tutti un po’ banali, scontati, con trailer fin troppo accattivanti e slasher senza senso. Ancora una volta è il mondo del videogioco che riporta sulla retta via un genere cinematografico.
Il pubblico ormai ne ha viste di cotte e di crude, lo schema dei personaggi è il più classico che si possa avere e gli effetti visivi sono degni di un videogioco ben fatto. Allora cosa colpisce veramente di Until Dawn?
Molti hanno criticato la presenza di troppi e facili jump scare. A mio avviso non è così, proprio perché la storia scorre trasportando lo spettatore in un ambiente horror – survival familiare, i momenti di tensione non sono scontati e fanno veramente saltare sulla comoda (o scomoda) sedia del cinema.
L’adrenalina di terrore che si ha guardando il film è finalmente tornata ad essere genuina. La causa dei mali non è dovuta da un’entità esoterica, bensì alla crudeltà delle sperimentazioni dell’uomo dovuta ad una catastrofe da lui generata.
Ripristinare lo schema e far tornare il genere alle sue origini, è la chiave vincente per riuscire a terrorizzare e colpire lo spettatore, che a sua volta era partito con non chissà quali aspettative.
L’universo dei videogiochi è sempre stato un terreno di sperimentazione narrativa e tecnologica: lo fu per la realtà virtuale, il 3D, il green screen e gli effetti speciali; in questo caso ha riportato in sala un film degno di essere denominato horror.
Ciliegina sulla torta: il finale. Non del tutto rassicurante, lascia lo spettatore sereno ma non troppo. Un’esperienza che da un po’ non si viveva al cinema probabilmente dai tempi di Smile (2022).