Il Baracchino è la nuova sorprendente serie d’animazione italiana, che entusiasma senza pretese e riesce a conquistarci con semplicità ed ironia.
Presentata ad aprile al Comicon, dal 3 giugno è disponibile su Prime Video la prima stagione da sei episodi de Il Baracchino, nuova serie d’animazione italiana co-prodotta da Amazon insieme a Lucky Red e Megadrago – lo studio d’animazione dietro la serie. Alla regia ci sono Nicolò Cuccì e Salvo Di Paola, anche creatori e sceneggiatori.
La serie racconta del Baracchino, appunto, vecchio tempio della comicità ormai in rovina e prossimo alla chiusura. L’ambiziosa Claudia – Pilar Fogliati – nipote di una delle più importanti comiche del locale – tale Tatiana – pur di tornare alla gloria passata, mette a rischio il suo futuro, sfidando il parere dell’unicorno proprietario Maurizio Cresimi – Lillo – ma anche del pubblico, che dovrà vedersela con una stramba squadra di comici.
Claudia vuole ribaltare le sorti del Baracchino. Organizza una serata di open mic, recluta un gruppo: Luca, piccione tabagista – Luca Ravenna – Leonardo Da Vinci, genio boomer – Edoardo Ferrario – John Lumano, uomo normale – Daniele Tinti – Marco, tristo mietitore – Stefano Rapone – ed il veterano Larry Tucano – Pietro Sermonti. Inoltre, conosciamo il tuttofare Gerri – Salvo Di Paola stesso – e l’appassionata ciambella Donato – Frank Matano.
In medias res, la serie inizia mostrandosi immediatamente nella sua unica e particolare caratteristica, cioè il saper mischiare diverse tecniche d’animazione – 2D, 3D, stop motion ed un burattino vero – creando un ibrido che si amalgama perfettamente alla costruzione dei personaggi che risultano molto particolari e folli, nell’altrettanto pazzo mondo in cui essi si muovono. Il tutto rispecchia perfettamente quello che è il mondo della comicità italiana. Come anche la sua idea di tornare ad un glorioso passato oramai scomparso ma attraverso un qualcosa di nuovo, originale.
Iniziamo ad addentrarci nel passato del Baracchino, del suo proprietario e delle persone che lo hanno frequentato. I personaggi iniziano quasi ad avere vita propria. Il personaggio di Larry subisce una svolta esilarante e la sua persona con il suo tormento – tiki tuka – ed il suo modo di fare sembrano sempre più plasmati ad immagine e somiglianza del Martellone di Boris, come prototipo di vecchio e logoro comico e contrapposizione tra cabaret e stand-up.
Il successo sta anche nel fallimento, proprio nella possibilità che ti da per ripartire da capo, da zero. E la soggettività di tale idea ti può permettere di non fermarti mai, dando la possibilità anche ad un gruppo di “falliti” di potersi riscattare. Le voci diventano sempre più nitide e la sincronia del doppiaggio è perfetta nonostante l’ancora estrema riconoscibilità delle voci che forse ne innalzano proprio il livello.
Si aggiungono al cast vocale Yoko Yamada come la triceratopo Tricerita e Michela Giraud come la ciambella Noemi Ciambell. Non sono solo quote rose, non sono qui solo come rappresentanti femminili. Sono presenti in veste comica. Punto. Intanto Gerri e Larry sono alla ricerca della battuta perfetta – se veramente esiste – mentre gli altri cercando di comprendere quali sono le regole della comicità. Altre citazioni a Boris.
La fottuta comicità. Il lavoro di gruppo funziona più di quello in solitaria – anche se non è sempre vero. E le regole esistono per essere infrante. Ma anche gli anarchici ed i punk hanno bisogno di una guida, una luce che guidi il buio dalla notte al giorno. Il perenne scontro tra il vecchio ed il nuovo, tra quello che si sa e l’ignoto. Forse, l’episodio meno ispirato.
Arriva la famiglia di Donato, doppiata interamente dallo stesso Frank Matano – Eddie Murphy ne Il professore matto – e vediamo il resto del pubblico di prova. Nel mentre, si infittisce la sottotrama di Gerri e Larry, che sembrano sfiorare un mito, una leggenda. Senza senso – in modo positivo, eh – il riferimento all’iconico tormentone di Gabriele Cirilli.
Attento a ciò che desideri, potresti ottenerlo. La paura e l’ansia fanno da padrone queste generazioni quanto qualsiasi altra. Solo che ora lo vediamo, lo sentiamo. Il silenzio sovrasta tutto il resto. L’unico errore di quello è – forse – il migliore episodio è che hanno sbagliato l’ordine dei titoli per gli episodi: questo meritava il titolo della precedente e viceversa. O forse, questa li meriterebbe entrambi.
Un passato che ha i colori. Un presente che è in bianco e nero. Un giorno ed un giorno. Gloria e fortuna. Tutti possono far ridere, non tutti possono fare i comici. I simpati, i pagliacci. L’episodio gira attorno alle interviste ai personaggi ed alla morte, cosa essa significa per ciascuno e come si reagisce.
Senza un pubblico, la battuta non ha più senso. La comicità non esiste, se non c’è nessuno che ride. Così, per il resto delle cose della vita. E la morte non è altro che un rumore che si consuma in lontanza, mentre un mazzo di fiori attende di essere messo in un vaso con l’acqua.
Fine della serie. L’ultimo pezzo del puzzle. Metodo Arancia meccanica. Alla fine, sembra che tutto stia andando per il meglio. Luca riconquista la scena che aveva perso. Bellissima ed incredibilmente accurata la rappresentazione della polizia – evitando ulteriori spoiler. Spider-Man sarebbe fiero di Gerri.
Comici si nasce. O si diventa. Il finale sembra perfetto così. Ma speriamo in una seconda stagione, perchè già avere solamente sei episodi non fa troppo piacere. Una degna chiusura. Anche se il mondo è grigio, si continua a ridere. Anche se la battuta non fa ridere. Anche se non c’è niente di cui ridere. L’unica cosa che ci resta da fare è ridere.
Il Baracchino promette poco e regala tanto. Il coraggio di una scommessa. Speriamo che con questa chicca, i prodotti d’animazione italiana tornino a splendere nel nostro terso cielo azzuro. Il cast vocale è soprendentemente adatto, in particolare Frank Matano ruba la scena ogni volta che apre la bocca. Pilar Fogliati è il cuore pulsante della serie. E, paradossalmente, il meno adatto sembra essere Lillo. Ma non c’è problema. Ridiamo comunque. Ridiamo due volte, così magari una volta riflettiamo anche.
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