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La legge di Lidia Poët, la recensione della seconda stagione
Dopo due anni di attesa, La legge di Lidia Poët torna con una seconda stagione su Netflix. La serie crime all’italiana sulla prima avvocata d’Italia.
La seconda stagione de La legge di Lidia Poët, dopo essere stata presentata in anteprima alla Festival del Cinema di Roma, arriva anche su Netflix dove è disponibile dal 30 ottobre con sei nuovi episodi.
La legge di Lidia Poët è un racconto moderno di un pezzo di storia italiana risalente al XIX secolo. Lidia Poët è stata la prima donna a entrare nell’albo degli avvocati in Italia. A più di 200 anni di distanza, ad incarnare questa figura femminista, è Matilda De Angelis: una delle attrici italiane più richieste del momento.
Ancora una volta, la nostra Lidia, è costretta in una società che le impedisce di svolgere a pieno il suo lavoro. La missione di questa seconda stagione, è quella di rivoluzionare il sistema attraverso la sua materia di competenza: riscrivere la legge.
Una trama semplice e funzionale
La legge di Lidia Poët è una serie scritta da Flaminia Gressi, Guido Iuculano e Davide Orsini, affidata alla regia di Matteo Rovere.
Nel cast troviamo la brava Matilda De Angelis, capace a restituire tridimensionalità, fragilità e sensibilità al personaggio; nonostante la persistente moda di recitare sussurrando e con il fiatone.
Ad accompagnare la nostra Lidia Poët ritroviamo Eduardo Scarpetta, Pier Luigi Pasino e Sara Lazzaro e la new entry Gianmarco Saurino. Questa volta i personaggi che costellano l’universo Poët sono molto più centrati e influenti nella trama.
Anche il nuovo procuratore, con il suo tono dark e magnetico, ha le giuste caratteristiche per essere complementare alla figura di Lidia Poët.
Questa seconda stagione è un mix fra La signora in giallo, Don Matteo al femminile e Bridgerton, confermando la vena crime della serie. La differenza con tutti questi altri prodotti, chiaramente, la troviamo nello sviluppo della trama.
L’incipit della stagione nasce da un caso di omicidio da risolvere che, casualmente, è strettamente collegato alla vita di Lidia Poët. Sebbene anche i casi successivi vanno a toccare persone vicine al personaggio di Lidia, o avvengono in situazioni in cui lei è presente, non passano in secondo piano ma collaborano alla costruzione del puzzle dell’intera trama.
Puntata dopo puntata, Lidia dimostra il suo talento empatico ed investigativo, una spalla in più sopra i colleghi uomini. In concomitanza al suo operato, si fanno strada le proteste femministe. La location è la splendida città di Torino di fine Ottocento, l’Italia sta entrando in un era di trasformazione tecnologica e progresso scientifico.
Da sapiente Jessica Fletcher, Lidia nel giro di una puntata riesce sempre a trovare l’assassino, con confessione annessa in stile Don Matteo. Lo stesso vale per il rapporto con il procuratore, oltre alla passione che lega i due personaggi, l’uno ammette di avere bisogno dell’altro per risolvere i casi, imparando a collaborare insieme.
Tutti i casi portano a Lidia Poët
La legge di Lidia Poët, è una serie incentrata su questa figura femminile realmente esistita. Nonostante siano passati due secoli, risulta essere una storia tristemente attuale, quindi impossibile non emozionarsi.
Lidia Poët è indubbiamente un personaggio pop e, come tale, vive da rivoluzionaria in un epoca che non le appartiene. Scontato il triangolo amoroso, nella serie ne troviamo addirittura due, di cui uno protagonista la nipote di Lidia, Marianna Poët. Entrambi centrali fra due uomini, sanno già chi scegliere.
Se Lidia è ancora combattuta nella scelta fra i due uomini, Marianna è figlia della nuova era. Ha le idee ben chiare su chi scegliere, ma riconosce di non sapere chi sia lei nel profondo come donna, ecco perché alla fine sceglie sé stessa e di rimanere momentaneamente sola.
La crescita dei personaggi va di pari passo con i casi da risolvere nelle puntate. Seppur presentati in circostante viste e riviste, mantengono alta l’attenzione grazie ad un’adrenalina sconosciuta ai prodotti italiani.
La strada è ancora lunga per arrivare ai livelli di uno 007, ma il rischio è quello di gridare al nuovo, su un prodotto che il pubblico ha perfettamente integrato nel proprio immaginario. E questo è un peccato per le nostre produzioni.
Conclusioni
Per quanto la La legge di Lidia Poët sia un prodotto ben scritto, non si può dire altrettanto del lato tecnico.
Sono convinta che Netflix abbia speso un cospicuo budget per questa serie ma, ahimè la realizzazione del prodotto è sfociato in un classico set italiano.
Personalmente non mi sento di elogiare né la fotografia e tantomeno la recitazione. Per quanto mi abbia toccato la storia, apprezzando le reference all’attuale situazione politica e sociale, consiglio la visione di questa serie mediante occhiali da sole e sottotitoli.
Gli ambienti hanno fonti luminose “naturali” sparate al massimo, inondando di luce le inquadrature. Anche i volti degli attori ne hanno fortemente risentito di questo eccesso luminoso, risultando scontornati e poco definiti espressivamente.
Lo stesso vale per l’audio, reduce da uno stile di recitazione con il fiatone e sussurrato, per una comprensione ottimale della storia si consigli l’uso di sottotitoli o un volume molto alto. Nonostante questa piccola pecca, le musiche sono ben missate con i dialoghi, giuste per enfatizzare la scena e le emozioni dei personaggi.
Non è strettamente necessario vedere la prima stagione per capire la seconda, in pieno stile fiction all’ italiana, La legge di Lidia Poët gode di numerose scene “spiegone” e flashback per i meno attenti. Ma per avere un quadro completo delle relazioni fra i personaggi, le due stagioni, meritano di essere viste e gustate tutte d’un fiato.
In fin dei conti è una serie scorrevole, coinvolgente ed interessante.