65Views

Monster: la storia di Ed Gein, la recensione
Uscita il 3 ottobre su Netflix, scritta da Ian Brennan, la terza stagione di Monster racconta la terrificante storia del serial killer Ed Gein “il maccellaio di Plainfield”.
Dopo tre anni dal fenomeno Dahmer e uno dal sequel sui fratelli Lyle ed Erik Menendez, arriva su Netflix l’attesissimo terzo capitolo di Monster, la saga antologica dedicata ai peggiori serial killer della storia, creata da Ryan Murphy e Ian Brennan. Questa volta il racconto si concentra sulla storia di Ed Gein, il killer necrofilo sospettato di aver ucciso fino a sette persone, tra cui suo fratello, tra il 1947 e il 1957, commettendo anche atti di squartamento e necrofilia.
Nel cast Charlie Hunnam, Lesley Manville, Vicky Krieps, Suzanna Son, Addison Rae e una strepitosa quanto inquietante Laurie Metcalf nel ruolo di Augusta Gein, madre di Ed, Tom Hollander interpreta Hitchcock, Joey Pollari è Anthony Perkins.
Meno Murphy, più Brennan
Monster nasce da un’idea di Ryan Murphy e Ian Brennan. Le prime due stagioni, La storia di Jeffrey Dahmer e La storia di Lyle ed Erik Menendez, sono state scritte e dirette da entrambi. Questa terza stagione, invece, non porta la firma di Murphy né alla regia né alla sceneggiatura, e la differenza si sente: Murphy figura solo come produttore, mentre Ian Brennan scrive e dirige diversi episodi insieme a Max Winkler.
L’assenza di Murphy dietro la macchina da presa alleggerisce lo sguardo, spostandolo dal compiacimento estetico del macabro alla riflessione sulla sua rappresentazione, un concetto più attuale che mai. Questa volta il male non viene spettacolarizzato: viene interrogato. Il risultato è un racconto che denuncia la normalizzazione del sadismo e la sempre più crescente fascinazione per l’orrore.
Con le prime stagioni, la serie sembrava aver imboccato la via più discutibile del true crime: la glorificazione del carnefice. Ma con questa terza stagione, sembra esserci un cambio di rotta, più che glorificare, Brennan umanizza il carnefice. Ed Gein non è che il classico esempio della vittima che diventa carnefice. Vittima, di un contesto familiare opprimente, di una società abusante, di una malattia psichica. Tante le tematiche che affronta la serie, dal complesso edipico alla questione della transizione di genere, dalla fascinazione per il sadismo, alla questione della banalità del male, citando Hannah Arendt.
Ed Gein, la storia del macellaio di Plainfield
Ed Gein (1906–1984) fu un criminale statunitense responsabile di omicidi, profanazioni di tombe e atti di necrofilia. Cresciuto in un ambiente familiare oppressivo e dominato da una madre fanatica religiosa, sviluppò una forte ossessione per lei e un rapporto distorto con le donne. Dopo la morte del fratello in circostanze sospette (1944) e della madre (1945), Gein visse isolato a Plainfield, dedicandosi alla lettura di riviste macabre e al collezionismo di resti umani.
Tra il 1947 e il 1957 nella zona scomparvero diverse persone; fu accertata la sua responsabilità in due omicidi. Durante le indagini vennero scoperti nella sua casa arredi e oggetti realizzati con parti di cadaveri, molti dei quali provenienti da tombe profanate. Gein ammise di avere creato un “abito da donna” con la pelle delle vittime, probabilmente per assumere le sembianze della madre.
Ritenuto mentalmente instabile, fu internato in un manicomio criminale, dove trascorse il resto della vita. Morì nel 1984 per insufficienza respiratoria causata da un cancro.
Dopo Ed Gein: il macabro come intrattenimento
La storia di Ed Gein ha avuto un impatto profondo sulla cultura popolare, ispirando romanzi, film e serie. Il romanzo Psycho di Robert Bloch (1959) e il film omonimo di Alfred Hitchcock (1960) hanno trasformato Gein in nell’archetipo del mostro sadico per eccellenza.Da Norman Bates a Leatherface, da Buffalo Bill a Oliver Thredson, la sua figura è diventata la matrice dell’immaginario horror americano.
Brennan racconta questa eredità culturale senza cadere nel sensazionalismo. Mostra come da Gein, uomo fragile, disturbato emarginato e vittima di una madre fanatica, sia diventato, suo malgrado, la prima tessera del domino di una lunga catena di rappresentazioni del male.
La serie non lo giustifica, ma contestualizza il mostro: indaga la follia e il contesto storico, inserendo Gein in una rete di riferimenti culturali e psicologici. Persino la criminale tedesca Ilse Koch, la “strega di Buchenwald”, viene evocato per mostrare come l’orrore possa generare altro orrore, fino alla nostra attuale fascinazione per il true crime. Monster: The Story of Ed Gein diventa così una riflessione sul labile confine tra denuncia del male e il suo utilizzo per mero intrattenimento.
Conclusione
Monster: The Story of Ed Gein è forse la stagione più matura e consapevole della serie. Ian Brennan rinuncia all’estetizzazione del male e costruisce un racconto che indaga la sua origine culturale e la nostra attrazione per esso.
Per chi volesse approfondire il cinema horror ispirato a Ed Gein, vale la pena (ri)scoprire Psycho di Alfred Hitchcock (1960), Non aprite quella porta di Tobe Hooper e Kim Henkel (1974), Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme (1991), o la serie Mindhunter di David Fincher (2017), che esplora la nascita della profilazione criminale.
Monster: The Story of Ed Gein, è su Netflix, ecco il trailer: