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The Silent Hour, una silenziosa tensione

The Silent Hour, una silenziosa tensione

Con The Silent Hour, Brad Anderson indaga il suono mancante come materia del thriller: un esercizio di stile sospeso tra percezione e introspezione.

Nel panorama dei thriller recenti, The Silent Hour spicca per un coraggio narrativo che va oltre la mera azione: il silenzio non è solo atmosfera, ma diventa protagonista. Brad Anderson (L’uomo senza sonno) sceglie di esplorare la fragilità sensoriale del protagonista, Frank Shaw (Joel Kinnaman), come portale per vestirsi di tensione psicologica, ambiguità morale ed empatia concreta.

Disabilità, udito e punto di vista

Partendo dall’incidente che ha lesionato l’udito di Frank, il film intreccia due mondi che raramente vengono mostrati nella loro interazione autentica: la sordità come liminalità e la comunicazione tramite lingua dei segni come strumento di costruzione narrativa, e non come mera decorazione. La presenza di Ava Fremont (Sandra Mae Frank), testimone sorda fin dalla nascita, non è un espediente: è attraverso di lei che il silenzio diventa voce, una voce che parla anche quando il suono ambientale tace.

Questo punto di vista “privilegiato” dell’handicap sensoriale non serve a creare pietismo, ma a destabilizzare lo spettatore: che cosa sentiamo quando Frank non sente? E cosa significa fidarsi di chi non può verificare con l’udito quello che accade fuori o dentro un corridoio buio?

Ambienti, ritmo, sospensione

Il film preferisce pochi ambienti ma ben orchestrati: stanze scarsamente illuminate, corridoi vuoti, l’edificio che diventa labirinto. Anderson sfrutta questi spazi per costruire un crescendo di incertezza: ogni passo, ogni porta chiusa, ogni ombra assume peso. Il montaggio alterna momenti di quasi immobilità, dove la sospensione del tempo e dello spazio è palpabile, a scatti improvvisi di violenza, spesso “in difetto”: è quel suono che avrebbe dovuto arrivare, quel rumore che non arriva, quell’eco che resta mancante.

Non manca però qualche incertezza nel ritmo: alcune sequenze si dilungano senza accumulare tensione proporzionale, in parte forse per lasciare respirare anche i personaggi, ma rischiando a volte di smorzare l’urgenza.

The Silent Hour, una silenziosa tensione

Personaggi come mediazione emotiva

Joel Kinnaman disegna un uomo diviso: la forza del poliziotto esperto, la fragilità dell’uomo che perde un senso, il senso di colpa, la rabbia, la paura. La sua interpretazione dà spessore alla sofferenza, ma anche al tentativo di adattamento alla nuova situazione. Sandra Mae Frank, con la sua esperienza personale della sordità, riesce a diventare più che testimone: è specchio per Frank, ma anche un’ancora morale per lo spettatore.

Gli altri personaggi – il collega, l’avversario – non sono solo antagonisti da sconfiggere, ma ingranaggi in una macchina di segreti, tradimenti e compromessi. È questo che rende il thriller più interessante: non solo chi ha sparato, ma chi ha taciuto, chi ha ignorato, chi ha scelto il lato più facile.

Limiti e spunti mancati

Tuttavia, The Silent Hour non evita di restare in parte confinato dentro convenzioni già note. L’idea del detective che perde un senso, dell’edificio “ostaggio”, della corruzione interna alla polizia: sono archetipi del genere thriller che qui vengono reimpostati con novità, ma non sempre esplosi del tutto. Alcuni colpi di scena risultano prevedibili, altri momenti potevano osare di più nel lasciarci nel dubbio, nel sospetto puro, senza risposte facili.

Inoltre, l’uso del silenzio, pur potente, in certe scene sembra sacrificato al ritmo o all’esigenza di chiarezza visiva: il rischio è che, nel tentativo di “essere comprensibile”, il film perda un po’ della sua forza evocativa più austera.

In conclusione…

The Silent Hour è un thriller che funziona bene quando si affida al silenzio, ai suoi vuoti e alle prestazioni dei protagonisti. Non è perfetto, ma è significativo: perché restituisce la disabilità come esperienza narrativa, non come gadget emozionale. Se siete amanti del thriller che non punta solo a fare sobbalzare ma a fare pensare, a far sentire qualcosa di più profondo, The Silent Hour vale la pena.

Recensione a tre stelle su Almanacco Cinema