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Diciannove: Il trauma nel cinema – Sotto la superficie

Diciannove racconta la disillusione giovanile italiana: fuga, vuoto esistenziale e noia come prigione. Nessuna città è giusta quando sei estraneo al mondo.

Opera prima di Giovanni Tortorici, Diciannove (2024) è un ritratto autentico della noia giovanile italiana. Il film è stato prodotto da Luca Guadagnino e distribuito da MUBI, e sembra ricalcare, in parte, un trauma già affrontato in questa rubrica con How to Have Sex.

Leonardo è un ragazzo che muove i primi passi verso l’età adulta. L’adolescente cerca il proprio posto del mondo, arrancando in ogni direzione senza mai mettere radici. Palermo, Londra, Siena: ogni posto è alieno. Tutto è dichiarazione, in quanto Leonardo guarda il mondo attraverso lo schermo di internet, le pagine dei libri, ed è totalmente spaesato e distante dalla realtà che lo circonda. Tortorici si muove con l’assenza e l’immobilità per parlare di un trauma contemporaneo e quasi “invisibile”.

Diciannove, incomunicabilità generazionale

In Diciannove, lo scontro generazione è una frattura irreparabile. Per quanto siamo abituati a tale situazione, appare come una normalità. I genitori sono figure evanescenti e talvolta tipi fissi. C’è un muro a separare il mondo adulto da quello adolescenziale, intriso di disagio, indifferenza e vuoto. La famiglia, che dovrebbe essere rifugio, rappresenta invece il luogo alieno e il genitore, l’estraneo. Né la madre, né il madre riescono a vedere la sofferenza e lo smarrimento del figlio, come se l’essere un genitore si delimitasse a ricoprire meramente un ruolo. Tutto è inconsistente e alimenta l’apatia e la solitudine di Leonardo.

Ma l’incomunicabilità di Leonardo non si limita al mondo adulto e si estende anche verso i suoi coetanei. Interessato alla cultura e al passato, è incapace di omologarsi ai suoi pari, così resta ai margini.

Il sogno, Londra

Leonardo raggiunge la sorella a Londra, che, per luogo comune, è la città della salvezza e delle mille possibilità. Londra promette salvezza: luci, feste, movimento, libertà. In realtà si rivela presto la gabbia peggiore: tutto è spento, superficiale ed effimero. Nulla ha davvero valore. E sono le inquadrature a svelarlo: fredde, alienanti, restituiscono la sensazione di estraneità. Leonardo è un pesce fuor d’acqua, un pesce d’acqua dolce nel mare. I ragazzi si rifugiano nella movida del venerdì, nell’alcol, cercando qualcosa che possa dare un senso alla vita. Ma finiscono per essere risucchiati dalle notti spente di una metropoli che inghiottisce e non lascia nulla.

Università e disincanto

Leonardo fugge da Londra e si trasferisce a Siena, qui inizia l’Università di Lettere, rinomata come la migliore d’Italia. Un’aspettativa che non attende troppo a rivelarsi l’ennesima delusione. Nulla funziona davvero: la casa condivisa con le coinquiline è soltanto l’ennesimo mare incompatibile, e l’università, ciò che fa spegnere la passione. Quello che dovrebbe essere il motore del desiderio e del sogno futuro, diventa l’opposto e l’avverso. La noia esistenziale è l’unica vera compagna di Leonardo. La depressione lo assale e così il senso di essere fuori posto in ogni angolo del mondo.

Diciannove, il grande sonno delle possibilità

Diciannove è un ritratto dell’adolescenza come una condizione di dislocazione. Nella società in cui viviamo, persino ciò che ci appassiona si trasforma in condanna, e i sogni e le aspirazioni sono destinati a rivelarsi illusioni. La forte passione per la letteratura, quella vissuta nella sua forma più pura, è sì rifugio ma anche prigione. Leonardo è solo un’indagine su molti giovani della nostra epoca. Un’epoca segnata dal “grande sonno” delle possibilità e del futuro. Il trauma raccontato da Diciannove è un’immagine sincera del presente. Una generazione che sente tutto fino all’osso ma che è costretta al silenzio. Una generazione che viene repressa e addormentata di stimoli e sogni. 

 

 

Serenella Bozhanaj

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