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Il cinema di Ingmar Bergman: Donne in attesa

Per la rubrica settimanale Il cinema di Ingmar Bergman, oggi parliamo di Donne in attesa, film che anticipa molti interrogativi del cinema futuro del regista.

In una villetta isolata, quattro donne aspettano il ritorno dei rispettivi mariti. Durante l’attesa, ciascuna prende la parola e racconta la propria storia d’amore. Qui, tra matrimoni falliti e relazioni tossiche, la narrazione diventa sempre più cruda, parlando di fallimenti autonomi e di coppia.

La parola femminile

In questo dramma borghese si percepisce un’ironia amara, qui Bergman sperimenta una narrazione diversa, a episodi, che gli permette di esplorare sensibilità e animi diversi, senza ridurli a una visione unica. Le donne raccontano e nel raccontare prendono potere; non si giustificano, al contrario, si conoscono e si riconoscono. Tutto questo potrebbe anche essere visto come un gesto politico e psicologico.

Non a caso, qui gli uomini sono figure quasi trasparenti, con un’ironia grottesca e un narcisismo quasi spietato. In questo racconto corale spicca la figura di Karin, moglie fredda e sarcastica, che durante il film inscena un confronto privo di maschere con suo marito. La sua confessione, fredda e ai limiti della violenza, è forse il punto più alto del film. Questo è il preciso momento dove Bergman sperimenta il teatro della parola come luogo pieno di verità e distruzione.

Sorellanza

Sembra strano parlare di sorellanza negli anni ’50, visto che consideriamo questa parola come un qualcosa di nuovo, ma Donne in attesa è anche un film di frontiera. Guardarlo oggi, ci fa capire quanto l’amore sia temporale, e quanto il tempo possa logorare i legami. È anche un film che mette in scena la sorellanza come spazio di elaborazione del dolore.

L’opera del regista svedese sembra parlare d’amore, ma in realtà Bergman indaga qualcosa di molto più profondo: le dinamiche di potere, inteso come quel controllo che si esercita anche nel piccoli gesti quotidiani, nei lunghi silenzi e nella scelta di parlare e raccontarsi oppure di restare in attesa. E nel farlo, affida per la prima volta il suo cinema alla voce delle donne (finalmente). Il film ci racconta un mondo pieno di tensioni invisibili, dove il potere si annida nel silenzio e nella parola, trasformando quindi l’attesa in un campo di scontri emotivi.

Sofia Fumi

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